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mercoledì 22 gennaio 2025

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Walter

di Marco Celati - domenica 05 gennaio 2025 ore 08:00

Il 5 Gennaio del 2019 moriva Walter Baldereschi, all’anagrafe Floro. Un compagno e un amico geniale. Lo ricorderemo, presentando i suoi libri stampati postumi, con un’iniziativa all’Agorà: quella descritta dall’immagine qui riprodotta. Sono passati sei anni. Questo è il discorso funebre, pronunciato durante le esequie, che rendo pubblico in sua memoria.

«Tutte le parole che si possono dire sono niente. Non colmano il dolore, forse nemmeno lo leniscono. Né saranno mai in grado di definire davvero una persona scomparsa, la sua vita, la sua storia, i suoi amori, le sue passioni, il suo lavoro, le gioie, i dolori, la presunzione di sé. Spiegare il suo significato e il suo mistero. Nemmeno il tuo, caro Walter, che oltretutto ti saresti chiamato Floro. E l’hai scoperto in prima elementare. Ci sono persone che non ci ricordiamo quando si sono incontrate, perché si sono conosciute da sempre. Walter Baldereschi era di Montecastello, la sua famiglia di origine è una delle famiglie numerose che hanno fatto e fanno la storia di questo piccolo e grande paese. Walter era un operaio della Piaggio, è stato sindacalista della FIM CISL. Poi ha lavorato in Comune. Aveva superato un concorso ed era stato assunto. Gli era andata bene, mi aveva detto. Siamo andati d’accordo tutte le volte che non si è litigato. Ma non erano litigi, erano contrasti e differenze di opinioni e chissà chi aveva ragione.

Come quando andasti a contestare Craxi al Comune di Pisa, in prima fila e ti fecero notare che lui era Presidente del Consiglio e tu un dipendente pubblico, forse in servizio, forse no, ma questo, in effetti, era un Paese libero. E, a ripensarci bene, un po’ di disubbidienza civile ci stava e ci sta. Anzi ci starebbe ancora di più oggi, in questi tempi così incivili e vergognosi per il nostro Paese e non solo. Uno spettro si aggira per l’Europa: quarantanove persone da giorni nel mare, senza porto e solo la voce del Pontefice che si leva.

Walter è sempre stato un uomo con un forte senso autonomo, una persona di sinistra. Di formazione movimentista, post sessantottina, anche se in quegli anni era appena quindicenne. È stato vicino ai Verdi e ha guardato alla sinistra storica e alla sua trasformazione nel Partito Democratico, a volte con senso di appartenenza, altre volte con più distacco, sempre con spirito critico. Era appassionato di musica, sapeva anche le parole in inglese delle canzoni dell’epoca, è stato nel gruppo di Radio Popolare, ha partecipato alle iniziative dell’Associazionismo democratico, dell’Arci. Gli piaceva la vita, come deve piacere: per noi e per i nostri simili e compagni. I nostri cari.

Aveva e sentiva l’inquietudine del nostro tempo. Non rimase al suo posto fisso di impiegato statale, si licenziò e si mise in proprio. Ha avuto dipendenti, ha affrontato il mercato e le sue insidie. È andato incontro a successi ed insuccessi, ma questo è stato. Testardo come era, così si è infine affermato: un uomo d’impresa che con intelligenza e fiuto ha saputo orientarsi verso l’utilizzo di nuove tecnologie, dall’informatica all’illuminotecnica, l’illuminazione a risparmio energetico. Il suo ultimo campo d’iniziativa. E quante volte, presso Pont-tech dove ILIOS, la sua piccola azienda, era incubata, ci ha mostrato che quel piccolissimo aggeggio quadrato, quella minuta diavoleria, faceva una luce più forte -e di mille colori se volevamo, come quelli della pace- e soprattutto avrebbe consumato meno ed avremmo risparmiato denaro pubblico. Ed era un prodotto italiano. Infervorato e polemico come sempre, a volte anche in eccesso, per questa sua causa. Walter Baldereschi aveva fantasia, un genio tutto suo e si è inventato la vita.

Noi ci siamo ritrovati più anziani o diversamente giovani: discussioni sulla sinistra, tormento e passione. Lui scriveva. Anche bene. Un vizio comune. Mi fece leggere “Stazione Libertà”, un racconto centrato sulla realtà virtuale di un mondo distopico, che sarebbe il contrario di utopico, cioè un mondo dove le cose, invece di progredire, vanno alla rovescia. Come oggi, insomma. Un racconto fantastico, non so se è stato mai pubblicato, ma meriterebbe. E poi mi raccontò la storia di un terreno di Montecastello che un suo bisavolo vinse a carte al Marchese, ma il debito di gioco non fu onorato. Col suo permesso gli rubai quella storia e ne scrissi un racconto breve sotto falso nome, incrociando la sua famiglia con la mia. Ma venne malinconico e breve come un racconto breve. Quella storia meritava invece ben altro svolgimento. Glielo dissi e glielo scrissi. Prima che sia tardi, devi raccontare tutto te.

Sapevo che era già malato, me l’aveva detto. Ma quel “prima che sia tardi” venne così per esorcizzare ciò che non sarebbe stato, che non doveva essere. Tardi solo per noi, prima di rincoglionire del tutto, prima che la memoria si perdesse e ci perdesse e ogni cosa divenisse oblio. Walter cominciò a scrivere e mi mandava i capitoli. Io leggevo e gli dicevo le mie impressioni, proponevo qualche correzione. I primi capitoli erano più incisivi, perché incentrati sulla storia familiare, gli altri più ampi nella descrizione del contesto storico, dall’ottocento al novecento, e qualcosa si perdeva. Ma forse era anche la salute che stava peggiorando. Quel romanzo Walter è riuscito a finirlo, si chiama “I due campi”. Credo sia stato fatto leggere ad esperti di storia e merita di essere pubblicato e letto. Lì, dentro quel racconto, si capisce perché Walter era così. Anche perché era stato chiamato così; ma non faccio lo spoiler, lo leggerete. Dobbiamo fare in modo che sia possibile: in carta stampata o in rete. È molto bello. Comincia con la fascinosa descrizione di una mano di carte, una mano del destino e termina, con una prosa secca, in un cimitero comunale. Un triste presagio. Ma non è un romanzo triste, anzi, è pieno di vita e di storie.

C’è qualcosa di quel fabbro ingegnoso, parente lontano un po’ vero, un po’ romanzato, in Walter, in noi, nella nostra gente contadina e operaia, ingegnosa e indomita. Operosa. Che ha saputo attraversare la propria storia e la storia che travolse il secolo con guerre e dittature, nazismo e fascismo e ferì l’Italia, l’Europa, il mondo intero.

Caro Walter ci siamo sentiti di recente e bisognava sentirsi ancora, mi dicevi della Francesca, la tua figliola, che si faceva strada e onore nel suo lavoro con il mitico Carlin Petrini: alimentazione, terra, un altro mondo possibile. Mi avevi detto del trapianto come ultimo tentativo, il dono compatibile di un tuo caro fratello, della tua famiglia di Montecastello. E parlavi dell’eventualità della fine non con rassegnazione, ma con evidenza e senso della vita. Con compostezza. E invece io ne ero atterrito e sviavamo il discorso, scherzando. I globuli rossi, si diceva, per forza recedono: di questi tempi resiste forse qualcosa di rosso? Macché, è roba sempre più rara al giorno d’oggi! Che ci possiamo fare? Poi quando non ricambiavi più gli auguri ho capito e i familiari mi hanno detto.

Alla fine cosa resta di noi che attraversiamo il nostro destino e la nostra vita, se non ciò e se non chi siamo stati. E dopo, non lo so davvero. Nessuno può dirlo con certezza, né si può sapere. E nemmeno tu ce lo puoi dire, caro Floro, altrimenti detto Walter. Ma siccome, ringraziando il Signore, siamo di una genia propensi a ritenere che può darsi che non ci sia un al di là è all’al di qua che volgiamo lo sguardo. In questo siamo stati e siamo credenti: nell’uomo e nel suo riscatto è stata ed è riposta la nostra fede. Nell’uguaglianza, nella libertà, nella solidarietà, nella giustizia sociale. E allora Walter vogliamo ricordarti qui: come un uomo vivace, irrequieto, intelligente e geniale, anche rompicoglioni, va bene. Dobbiamo ricordare e ricordarti: questa è la nostra risposta alla morte, alla fine della vita. Per questo, tua figlia, i tuoi fratelli e familiari, Elena, le persone che hai amato, i tuoi cari, i compagni e gli amici che ti hanno conosciuto, mandato affanculo ricambiati e voluto bene, per questo si stringono intorno a te. E noi ci stringiamo a loro. Perché riprendono il cammino, la strada da dove tu hai lasciato. Tutti quanti e ognuno a modo suo. Ciò che hai fatto e scritto rimane e ti siamo grati per la memoria che lasci. Perché alla fine un uomo è questo: i suoi affetti, le sue speranze, i suoi errori, la sua dignità, la voglia di una vita e di un mondo migliore per se’ e per gli altri. E i suoi sentimenti. Un racconto che finisce e una storia che continua. Ciao Walter».

Montecastello, 8 Gennaio 2019

Marco Celati

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P.S. I due romanzi di Walter sono stati pubblicati postumi ad opera del fratello Paolo. “Stazione Libertà", già rivisto da Walter, con il titolo “Avatar, Second life" e “I due campi" con il sottotitolo "Una storia italiana".

Questo è il link del racconto, cui si accenna nell’orazione funebre, con la storia che Walter mi raccontò e -glielo chiesi- mi prestò. Pubblicato su QuiNews Valdera, si intitola “Quasi una Storia”.

https://www.quinewsvaldera.it/blog/raccolte/quasi-una-storia-monrte-castelli-marco-celati.htm

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati