Marina di Pisa
di Marco Celati - venerdì 04 agosto 2017 ore 17:33
A Giovanni, fratello marinese
Marina, ristorante bar "Rosa dei Venti", pomeriggio, seduti al sole ai tavolini, dopo un caffè, davanti allo Scoglio di D'Annunzio che poi si vede un molo e dietro comincia il mare. E da qualche parte, lungo il mare, il fantasma della Motofides aleggia. Come quello del comunismo che, secoli fa, si aggirava per l'Europa.
Più in là due pensionati ragionano del tempo e uno dice che oggi è bello e sembra estate, c'è solo, dice, un po' di "velatura". Dice così, velatura, per dire foschia, ma velatura è più bello, più lieve e più marinaro.
Arriva un venditore di colore. Vu cumprà: accendini, fazzoletti, calzini, occhiali da sole... E uno dei pensionati, quello della velatura, risponde deciso, ma gentile. No grazie, siamo al completo di tutto.
Proprio così dice, al completo di tutto. Che forse vuol dire proprio di tutto: c'è il sole, c'è il mare, sia pur dietro il molo del nuovo porto, insomma c'è questa bella giornata con solo una leggera velatura sull'azzuro del cielo e va bene così. La vita oggi sembra bastarci. Stiamo qui, insieme, inganniamo la solitudine. La solitudine è una brutta bestia, la peggiore, la più feroce. Ma oggi si sta bene.
Sulla porta del ristorante c'è scritto "Fate ammodino". Che devono essere Fate di molto per bene, ci sono Fate ammodino e "Fate ignoranti", mi dice la compagna che prende il sole: è il suo film preferito. Ci sono i suoi attori: la nevrotica Margherita Buy e Stefano Accorsi che è vero che ha una bella voce. Rido, adoro questi nonsense. Allora ci sarebbero anche "Fate bene fratelli", penso, ma non lo dico. Va bene sentirsi al completo di tutto, ma è meglio non esagerare, non fare troppo gli spiritosi: la sorte è invidiosa degli uomini.
"O MA.INA DI PISA QUANDO FOLGORA
IL SOLLEONE!"
Manca la R sulla lapide marmorea sopra lo scoglione di D'Annunzio, davanti alla "Villa delle Tempeste" che era qui e qui il Vate d'Italia -mica sticazzi- soggiornò e scrisse: "Le lodolette cantan su le pratora/ di San Rossore/ e le cicale cantano su i platani/ d’Arno a tenzone". Le famose lodolette alla marinese.
"IN QUESTO ”PAESE DI SABBIA E DI RAGIA„
GABRIELE D'ANNUNZIO
TROVÒ SERENITÀ DI RIPOSO ISPIRAZIONI DI CANTI IM.ORTALI"
Manca anche una M.
"Il Vate è qui? Se il bisbiglio di un angolo o i respiri del mare e del vento ci sorprenderanno con voci d’amore, fermiamoci ad ascoltare. Forse, non sarà stata un’illusione". É scritto nella presentazione del Villino Ermione. Il Vate e la Divina Duse, alias Ermione, tutti e due gocciolanti sotto "la pioggia nel pineto"! Sulla costa tirrenica, tra le foci dell'Arno e del Serchio, un temporale estivo li sorprende e piove sui loro vestimenti leggeri, sulle fresche frasche e i freschi pensieri, sulla favola bella che ieri ci illuse e che oggi ci illude. Siamo nel 900. Ma vogliamo parlare dell'onomatopea, della prosopopea, del panismo, dell'estetismo e decadentismo dannunziani? Chiedeva la professoressa d'italiano. Eccheccazzo! E poi Ermione, Amaranta, Ghisolabella, Rosafosca, la Zoppa di Montenero, trombale tutte te, Maciste di Cabiria! Eia!Eia!Eia! Alalala!
Vibra il cellulare in tasca. Lo prendo, tocco chissà quale parte dello schermo. I cellulari di oggi, con questa meravigliosa modernità del touch screen, sono diventati estremamente sensibili e suscettibili. Si accende lo schermo, si ode un beep metallico, appare una scritta: come posso aiutarti? È Siri. Anche non rompermi i coglioni sarebbe già un aiuto, rispondo. Spippolo qualcosa a caso e lo ripongo in tasca.
Si fanno due passi per Marina. Me la ricordavo quando ci s'andava da giovani, è un secolo, in bici o in autostop. Andavamo agli scogli, le dighe di pietra erette davanti alla costa a difesa di quel rimasuglio di spiaggia sabbiosa che il mare ogni anno si mangiava. Con i bagni che le burrasche d'inverno portavano via. A Bocca d'Arno, il profilo stagliato dei retoni, sospesi come in un quadro, tra mare e cielo, lungo la foce. Sullo sfondo le Alpi Apuane.
Si faceva il bagno e prendevamo il sole sui massi abbruniti delle dighe. Ci tuffavamo di là, in mare aperto e si pescavano i datteri. Ce n'erano intere colonie. Avevamo provato con il coltello, le prime volte, sott'acqua, in fondo agli scogli, dov'erano le cozze più grosse, ma il fiato non ci bastava e ci ferivamo le mani con i gusci taglienti. Erano maledettamente resistenti. Allora ci mettevamo dei vecchi guanti di pelle e ci attaccavamo ai datteri, sul fondo, strappandoli a forza di braccia e tirandoli su. Riempivamo diversi sacchi che si portavano la sera a casa perché le mamme o le nonne li pulissero per cucinarli. E regolarmente mamme e nonne imprecavano, ma poi si mangiavano. Altri tempi.
Marina di Pisa, assediata dal mare, è una vecchia cartolina, ingiallita e sciupata agli angoli, con i palazzi scoloriti dal sole e dal salmastro portato dal vento. Così me la ricordo e così, in fondo, mi pare ancora, nonostante i lavori del nuovo porto turistico. Le correnti, l'innalzamento del mare incombono sulla costa e sulle case, sferzate dal libeccio. E quella enorme pietraia bianca, abbacinante, ammassata sulla riva non so se riuscirà ad arginare la forza della natura e il ciclo del tempo. Pisa anticamente era una Repubblica Marinara, sia pure maldestra, dopotutto.
Ci siamo fermati alla "Gelateria dal Capitano", un laboratorio artigiano. Abbiamo preso i gusti più strani. Io ho ordinato e sbafato un gelato al castagnaccio. E sapeva proprio di castagnaccio! Un modo di unire direttamente l'inverno all'estate, il castagnaccio al gelato. Si potessero unire così le diverse stagioni della vita: la gioventù a questa età più avanzata, la passione degli anni acerbi al tempo stanco che ci tocca di vivere. Il passato al futuro.
Ci sono, davanti al mare, dietro alle auto in sosta, una piazza sterrata e desolata e, più in là, un'altra con un modesto parco giochi. Marina di Pisa, popolare e sgarrupata è un paesaggio della memoria e del cuore. Un riflesso sbiadito nel tempo. Vi si affaccia un futuro indeciso, incerto e imprecisato. Ha un suo fascino, una sua malinconia, come il sole al tramonto dietro di noi sulla via del ritorno.
Marco Celati
Pontedera, 1 Aprile 2017
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Chiedo scusa ai marinesi, agli estimatori di Gabriele D'Annunzio e alla cara memoria della professoressa d'italiano. Le poesie citate sono "La tenzone" -riprodotta nei versi iniziali sulla lapide sopra lo scoglio, detto di D'Annunzio e riportata sulle formelle del nuovo porto di Marina- e "La pioggia nel pineto". Scritte, la prima nel luglio del 1899 e la seconda tra luglio e agosto del 1902, sono entrambe contenute nella raccolta di liriche dannunziane "Alcyone". Ermione, Amaranta, Ghisolabella, Rosafosca, come s'intuisce dalla garbata polemica, sono i soprannomi dati dal poeta ad alcune delle sue innumerevoli amanti. Questo elenco non comprendeva, ovviamente, la Zoppa di Montenero. Il grido di guerra "Eia!Eia!Eia! Alalala!" fu creato da D'Annunzio nel 1918 per gli aviatori italiani in sostituzione dell'anglofono "Hip!Hip,Hip! Urra!" e ripreso, più tardi, dalla propaganda fascista. Anche Maciste, fu una sua invenzione per "Cabiria", il colossal cinematografico del 1914 di Giovanni Pastrone, in cui il forzuto superuomo apparve. E pure il nome Cabiria si deve all'immaginifico D'Annunzio. A Marina ci vado a nuotare con un amico, si fanno dei bei chilometri, il mare è buono.
Marco Celati