L'orgia musicale
di Nicola Belcari - martedì 11 luglio 2023 ore 08:00
Talune grandi manifestazioni, eventi memorabili, affondano le radici, o condividono lo spirito (non i numeri), in altri eventi, mitici o leggendari, di tempi lontani, anche molto antichi, con contenuti e forme apparentemente dissimili e inaccostabili. Le grandi folle del passato più recente, novità storica e portatori di democrazie, vere o false, antesignane del famigerato “populismo”, quando negative demagogie, si trovano con segno opposto, come festa gioiosa, popolare e spontanea, nei megaconcerti di musica pop.
Un pubblico di ammiratori, al limite di una capienza possibile, riunito per un rito collettivo, esprime una comunità alternativa al pensiero corrente, negli intenti di alcuni protagonisti, contro perbenismo (e conformismo?); paga un biglietto per partecipare. Sullo schermo l’immagine ingigantita del divo è inseparabile dalla musica: l’autore non si separa dall’opera. La ierofania è mediata, ingigantita, moltiplicata.
Sotto il palco donne deliranti in preda al furore bacchico, invasate dal dio, menadi danzanti con frenesia liberatoria si offrono al loro mitico ispiratore. Poi sfogheranno la bramosia con qualche sostituto in un angolo buio. La Natura riaffiora prepotente con i riti ancestrali della fecondità e della rinascita. È l’orgia mistica di un istinto irrefrenabile e insopprimibile.
E gli uomini? Pronti a raccogliere le briciole? Noi come lui, rocker di protesta, il capo-popolo venerato: contro. Siamo contro la normalità subita tutti i giorni, contro il lavoro, gli orari, le regole; sogniamo spiagge tropicali, paradisi esotici, donne facili, belle di gioventù e procaci, auto esclusive, cibarie rare e raffinate, squisitezze ed eleganze, tutti i piaceri, insomma, che il denaro può comprare, poi, per sopportare la realtà, prendiamo una sbornia ogni tanto.
Al cantante, vate, profeta, officiante sul palco-altare da sacerdote della setta del serpente, detentore del potere della carne, siamo contenti di donare il nostro obolo, a lui che ha osato, a voce alta, rifiutare la condizione del travet o dello schiavo salariato (la nostra per capirci) ed è riuscito a realizzare il desiderio (sottinteso) di una vita da nababbo, mentre per noi resta un sogno inconfessabile e colpevole. Per tutti c’è il desiderio di vicinanza e contatto con l’idolo (si è fan di un idolo come attestato nei cruciverba) per trasformarsi in viventi reliquie. Alla fine, chi canta canta, quel che conta è esserci, essere protagonisti.
Nell’oscurità del caos primigenio si accalcano anime anelanti e il tremolio delle loro torce ne è il simbolo. Così 70.000, 140.000, 200.000 persone si uniscono in un’unica tribù, paiono un corpo solo, ma ognuno resta chiuso nel proprio sogno impossibile. Chissà? se il collega detestato non sia lì, da qualche parte, perso in quella marea?
Nicola Belcari