L'incoronazione
di Nicola Belcari - domenica 14 maggio 2023 ore 07:00
La santa alleanza tra il trono e l’altare mancava al ritorno al passato del nostro tempo dell’oca farcita, in cui la stupidità umana governa il mondo, riportando guerre ed epidemie, sullo sfondo di una potenziale catastrofe planetaria.
Il potere, religioso e temporale, ha in alcune epoche tentato di affascinare le masse con l’opulenza, il fasto, la grandiosità delle proprie cerimonie. Oggi, con sovrani senza sovranità (ma con appannaggi, quelli sì, regali), senza il physique del principe azzurro, senza l’aura della leggenda di re condottieri, l’impresa è ardua e rischia di passare da un’epica gloriosa o tragica all’operetta farsesca (in cerca di uno “Shakespeare” per un “Carlo III”).
Giornalisti crudeli e senza cuore si sono presi gioco dei protagonisti facendo credere a un’apoteosi e un trionfo con miliardi di spettatori. Non so come siano stati contati, ma vi assicuro che il mio cane sul divano, di fronte alla tivvù accesa, dormiva, mentre io mi trovavo al gabinetto (per non dire del gatto che era già uscito da un pezzo).
Le sfilate “storiche” si somigliano. Sono diffuse fin negli angoli più sperduti del reame; spesso, nell’ambito delle sagre o feste paesane. Le donne si mettono in mostra nella parte di castellane, gli uomini di tutte le età e tutte le condizioni recitano in ruoli indefinibili, di un improbabile Medioevo o Rinascimento. Non paiono credibili qualunque siano lo studio filologico e la potenza di mezzi di cui dispongono. Soddisfano nebbiose pulsioni per il gusto del travestimento e sotterranei esibizionismi. Con la bella del paese nel ruolo della principessa, la floridezza di una beltà locale ambiguamente s’impone nel confuso spettacolo, mentre altre comparse divertono in uno spirito carnevalesco. Quanti, come “Enrico IV” di Pirandello, picchieranno la testa restando nella parte?
Quelle manifestazioni più in grande, con capi di Stato e risonanza internazionale (che per vari motivi media asserviti non possono criticare) sono comunque anacronistiche, qualsiasi sia il lusso e la cornice, l’impegno e lo sfarzo, anzi, sono peggiori e segnano il distacco incolmabile coi sudditi. I cronisti sono mai stati in un bar? al mercato? non hanno tra le conoscenze un popolano con cui parlare? Quelle scene sono motivo di ludibrio, sono bersaglio di battute più o meno sarcastiche. Il popolo, che non è così tonto e credulone come loro lo stimano, ne ride. Sa che non c’è fiaba, né mito, né Storia, se non come grottesca parodia: una fiaba al contrario, un anti-mito, un essere fuori della Storia.
Nicola Belcari