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giovedì 03 ottobre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

Come si fa a combattere l'ignoranza?

di Adolfo Santoro - sabato 27 gennaio 2024 ore 08:00

Una mia Amica mi ha chiesto: “Come si fa a combattere l’ignoranza?”. È una domanda complessa e per risponderle provo ad esemplificare una forma di ignoranza: quella della negazione del cambiamento climatico.

Non sembra sufficiente ridurre la negazione del cambiamento climatico a chi protegge i suoi interessi finanziari, come le “sette sorelle dell’estrazione petrolifera”. Emergono, infatti, nuove forme di negazione anche in chi concorda sul fatto che il cambiamento climatico sia in atto. C’è, infatti, una forma “ideologica” di negazionismo che non riesce a identificare le cause profonde del cambiamento climatico e quindi promuove soluzioni insufficienti verso quel cambiamento sociale radicale, ritenuto necessario dal principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico o Intergovernmental Panel On Climate Change o IPCC). Uso qui il termine “ideologia” nel senso di Karl Marx: “idee e pratiche che riproducono relazioni sociali contraddittorie”; Louis Althusser chiariva ulteriormente che l’ideologia esiste anche come attività irriflessiva governata da rituali all’interno di istituzioni specifiche o “apparati ideologici statali”, che riproduce con le sue idee, lo statu quo attraverso 1) la reificazione, 2) la legittimazione tramite il consenso.

Gyorgy Lukács descriveva la reificazione come il processo mediante il quale gli esseri umani sono dominati dai propri artefatti materiali e immateriali, che appaiono come fissi e immutabili piuttosto che come creazioni umane che possono essere modificate; ne consegue l’accecamento della coscienza rispetto a possibili futuri sociali alternativi (riprenderò questo tema della “possibilità”, che appare cruciale); Herbert Marcuse parlava, al proposito, di pensiero “ad una dimensione”.

La legittimazione tramite il consenso era, per Antonio Gramsci, la forma complementare all’uso da parte del potere del dominio attraverso istituzioni coercitive (polizia, esercito, burocrazia statale). La legittimazione mediante il consenso, infatti, si esprime attraverso l’egemonia di istituzioni civili, che oggi possiamo individuare in alcuni aggregati sociali: oltre alla chiesa e alla famiglia, ci sono le corporazioni e tutte le organizzazioni politiche divisive, i gruppi di pressione, le lobby più o meno occulte.

È possibile così identificare sei diverse forme di negazione del cambiamento climatico:

a) negazione letterale, in cui viene seminato il dubbio in menti predisposte all’ossessività,

b) neo-scetticismo, in cui viene utilizzato il dubbio contro il metodo scientifico che è alla base della conoscenza,

c) tecno-ottimismo, che comprende 1) il tecno-ottimismo della bioingegneria e della manipolazione dei geni delle piante, 2) il tecno-ottimismo dell’efficienza energetica, 3) il tecno-ottimismo delle energie rinnovabili (che può produrre l’effetto boomerang dell’aumento del consumo energetico),

d) individualismo, attraverso il quale si fa credere che le azioni del singolo sarebbero sufficienti a ridurre il riscaldamento globale,

e) fondamentalismo del mercato, che si basa, come era il presupposto degli accordi di Kioto, sui risultati economici,

f) crescita verde, che rende seducente la crescita economica attraverso la maggiore efficienza dei processi e il disaccoppiamento dai danni ambientali.

Non approfondisco qui questi aspetti, tutti collegati al “mito della crescita illimitata”. Ricordo solo che, per Enzo Paci, “il capitale si oppone alla realtà e alla verità”; se le cose stanno così, la verità è, allora, andare verso il senso contrario alla crescita (vitale per il capitale), andare verso l’essenziale.

Queste descrizioni non sono però esaustive del problema e ci sono aspetti cui è solo possibile accennare. L’ignoranza potrebbe essere approfondita attraverso specifici aspetti neurobiologici, quali quello dell’equilibrio sul terrore su cui si basa l’evoluzione dell’uomo, del suo cervello e delle sue organizzazioni sociali o quello del superficiale ottimismo, dovuto allo spostamento verso le funzioni esecutive proprie del cervello sinistro. Oppure attraverso gli approfondimenti filosofici, che vanno da Socrate a Platone, a Seneca, a Spinoza. Oppure attraverso la figura di don Chisciotte, che allucinava i tre giganti, suoi nemici, nell’ingiustizia, nella paura e nell’ignoranza, appunto: questi tre giganti, insieme ad un quarto che li unisce – la stupidità – aiutano nella perdita del rapporto col reale. Oppure attraverso la letteratura religiosa: ad esempio, Buddha parla di avidya (cioè “non vedere”) come primo anello del ciclo delle ripetizioni generazionale o trans generazionale (cioè del samsara) e Gesù chiede di perdonare “coloro che non sanno quello che fanno”.

Quello dell’ignoranza è, dunque, un tema poliedrico, tanto che Robert Proctor, professore della Stanford University, ha fondato un ramo scientifico: quello dell’”agnatologia”, che studia l’ignoranza indotta dalla cultura. Proctor distingue, oltre all’”ignoranza come stato nativo” (secondaria ad ingenuità giovanile o a carenza di educazione) e all’”ignoranza come regno perduto” (secondaria alla disattenzione umana), l’”ignoranza come stratagemma strategico”, che è il prodotto dell’incertezza e del dubbio creati, mantenuti e manipolati da altre persone. Le cause attive dell’ignoranza indotta dalla cultura possono includere l’influenza dei media, delle società e delle agenzie governative, attraverso la segretezza e la soppressione delle informazioni, la distruzione di documenti e la memoria selettiva: ne siano di esempio le leggi-bavaglio verso la stampa concepite dall’attuale governo italiano e i segreti di stato accumulati nella storia di tutti gli Stati, ma soprattutto del nostro. A questa ignoranza culturale hanno ovviamente grandemente contribuito l’uso populistico dei “social” e la dequalificazione della scuola: viene propagandato che la nostra è la “Società della Conoscenza”, che, però, nei fatti è un falso mito che maschera la possibilità di diffondere l'ignoranza, anche attraverso l’eccesso di informazione scadente. I principali settori dell’economia mondiale sono, infatti, dominati da soggetti che inducono nell’opinione pubblica ignoranza delle conseguenze nocive dei loro prodotti (o servizi), diffondendo studi scientifici inaccurati, falsi o fuorvianti oltre a corrompere giornalisti e politici. Definire la nostra come la “società dell’informazione” è fuorviante, perché la stessa informazione è “informata” da un gruppo di società corporate americane strettamente legate al potere.

Ma tutto quello che fin qui ho scritto appare ancora insufficiente, perché si rifugia nella descrizione di un mondo condiviso “complicato” e sfugge alla “complessità” della Vita.

Dogen Zenji afferma: “Studiare la Via del Buddha vuol dire studiare il sé. Studiare il sé vuol dire dimenticare il sé. Dimenticare il sé vuol dire essere illuminati dalla miriade di cose. Quando siete illuminati dalla miriade di cose, il vostro corpo e mente, così come il corpo e mente degli altri, cade.”.

Per combattere l’ignoranza bisogna, dunque, non combattere l’ignoranza, ma accettarla, al fine di conoscerla nelle sue declinazioni nel mondo condiviso, ma anche nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo. Un primo livello di gestione del problema è quello della modulazione della rabbia, che è l’emozione negativa, che copre le altre emozioni negative più profonde (depressione, paura, senso di colpa/vergogna). La rabbia può essere rovesciata in calma nei microcontesti attraverso la modulazione delle emozioni: l’acquisizione della competenza emotiva nei contesti è il primo passo per arrivare all’individuo. L’informazione calma è necessaria, ma è sufficiente solo per i problemi “piccoli”.

Se si vuole, invece, trasformare in conoscenza l’ignoranza dei problemi “grossi” che affliggono l’umanità, occorre occuparsi delle emozioni profonde negative, che non sono solo personali, ma riguardano l’evoluzione umana. Occorre rientrare nel Corpo e ascoltare Dogen: per dimenticare il Sé occorre rintracciare l’Origine e riconnettersi alla Visione dei nostri organi di senso innocenti (o puri, se si vuole), che siano attivatori del senso critico. E questo implica svuotare la Mente dalla mente, svuotare l’Io dall’io, svuotare l’Anima dall’anima, in modo da imparare dagli errori evolutivi del passato decostruendo la memoria (di mente, io, anima): solo allora la memoria diventerà inutile e potrà essere lasciata andare. Lo Spirito potrà essere così una presenza virtuale per il Corpo dell’Individuo, della Terra, dell’Universo, del Multiverso ed avviene la riconnessione all’inspirazione della complessità, alla non-dualità, alla presenza a tutte le “possibilità” evolutive (e non più alla dipendenza dalla meccanica abitudine all’effimero presente, sedimentata nel Corpo dall’incompleta elaborazione del lutto per le perdite del passato, dal tempo che passa e dalla morte che si avvicina).

Occorre la nascita della Gaia Scienza, cui allude a tutto ciò questa storiella zen:

“La visitatrice disse: “I miei amici pensano che io sia matta perché m’interesso allo Zen.” Il Maestro Rispose: “Essere matti va bene. Gli uomini matti sono felici, liberi, non hanno ostacoli. Ma finché ti attacchi a così tante cose rimani solamente un pochettino matta. Questo non è abbastanza matta. Devi diventare totalmente matta. Allora capirai.” La visitatrice s’inchinò. Qualcuno venne e riempì due tazze di the.”.

Questo processo richiede ovviamente delle competenze, la prima delle quali è il rilassamento in modo da entrare in uno stato meditativo e la seconda è la visualizzazione dal punto di vista non-duale, cioè al di là della mente, direttamente come testimone all’interno del corpo dei processi fisici e mentali che continuamente vi hanno luogo. Testimone delle radici storiche e contestuali del Giudice interiore (che è in realtà il Giudice esteriore sedimentato nel Sé), che genera senso di vergogna/colpa, di paura, di depressione impotente. Lo studio del proprio mondo interiore è perciò l’inizio che apre alla possibilità di liberarsi del proprio maschilismo, che ci attraversa tutti se non altro per motivi culturali e antropocentrici, e della paura dell’altro, del nemico, che ci porta ad armarci a prescindere.

Ecco, cara Amica, questa è la mia “risposta-non risposta”. La chiamo così anche perché – credo - implica approfondimenti ulteriori.

Adolfo Santoro

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