L’uomo bianco e i “selvaggi”
di Adolfo Santoro - sabato 04 giugno 2022 ore 08:00
Le riflessioni su Avere o Essere di Erich Fromm aiutano a comprendere la complementarietà speculare di alcune funzioni dell’organizzazione degli emisferi cerebrali. Nell’emisfero destro possono essere allocate le funzioni dell’Essere, quelle che riguardano le funzioni biologiche di base, il mangiare, il bere acqua, il dormire, l’”andare di corpo”, il relazionarsi. Nell’emisfero sinistro possono essere allocate le funzioni dell’Avere, come il controllo del territorio, il rango all’interno del gruppo. Ma sia ben chiaro che l’Avere non è, di per sé, cattivo e l’Essere buono non è di per sé buono: tra queste due istanze ci deve essere un equilibrio, nel senso che in ogni situazione occorre, in relazione ai bisogni personali e al contesto, il minimo di Avere ed il massimo di Essere.
Dipendere dalla ricerca dell’Avere ha come conseguenza la competitività, per cui il possesso dei territori è più importante della presenza delle persone che ci vivono: porta alla guerra fino all’ultimo uomo. Dipendere dall’Essere comporta il trascurare sia l’autoprotezione, sia la disponibilità del minimo essenziale per vivere. Un’organizzazione che permetta la protezione delle nicchie ecologiche della continuazione della vita sulla terra e, all’interno di queste, la libertà di esistere e di esplorare le potenzialità umane è quello che l’uomo ha sempre sognato: è il Paradiso Terrestre. A questa organizzazione della vita condivisa con “un minimo di Avere e il massimo di Essere” corrisponde la pulsatilità dell’organizzazione interemisferica: i due emisferi devono essere attivati in rapida successione, al ritmo del respiro, in modo da essere integrati nell’Essenzialità della Vita!
L’enfasi sull’Avere, proprio, in particolare, del liberismo e del colonialismo dell’Occidente, ha comportato l’alienazione dell’uomo dalla Natura e l’abbandono della “selvaticità”. Il “progresso” che ne è conseguito, se ha permesso alcuni innegabili vantaggi, come l’allungamento della vita media, avvenuta grazie soprattutto alle misure igieniche, ha però condannato l’uomo all’infelicità.
Mi servirò in questo confronto tra l’arrogante alienazione del mondo occidentale e altre possibilità di poesie dei “nativi” e di alcuni brani di prosa, tra cui, soprattutto, di un libretto, scritto da Erich Scheurmann: “Papalagi”.
Scheurmann, amico di Herman Hesse, era un pacifista ed obbiettore di coscienza che, al fine di sfuggire all’arruolamento alle armi nella prima guerra mondiale, fuggì alle isole Samoa. Egli poi diffuse un libretto “esilarante e atroce”, in cui fingeva – o magari era proprio così – che Tuiavii, un saggio capo indigeno delle isole Samoa, rendicontasse i suoi compatrioti circa un suo viaggio in Europa e i suoi contatti con usi e costumi del “Papalagi”, l’uomo bianco.
A proposito della “grave malattia del pensare”,propria dell’arroganza dell’uomo occidentale, Tuiavii riferiva:
“È certamente vero che adoperiamo poco la conoscenza, quel che il Papalagi chiama «pensare». Ma c’è da chiedersi se stupido è chi non pensa molto, o chi pensa troppo. Il Papalagi pensa in continuazione…
Riesce solo con difficoltà a non pensare e a vivere con tutte le sua membra insieme. Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati. Anche se va in giro, parla, mangia e ride. Il pensare, i pensieri, che sono i frutti del pensare, lo tengono prigioniero. È una specie di ubriacatura dei suoi pensieri. Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: «Come splende bene!». E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto. Un abitante delle Samoa intelligente distende le sue membra alla calda luce e non sta a pensare niente. Accoglie in sé il sole non solo con la testa, ma anche con le mani, i piedi, le gambe, la pancia, con tutte le membra.
Lascia che la pelle e le membra pensino da sole. E queste da parte loro pensano, anche se in modo diverso dalla testa. Il pensare sbarra il cammino al Papalagi in molti modi, come un blocco di lava che non si può scansare. Pensa lietamente, ma poi non ride; pensa cose tristi, ma non piange. Ha fame, ma non coglie frutti di taro. È per lo più un uomo con i sensi che vivono in inimicizia con lo spirito: una persona che è divisa in due parti… cari fratelli non pensanti… Ci dobbiamo guardare da tutto quel che ci vorrebbe togliere la gioia di vivere, da tutto quello che mette in lite la nostra testa con il nostro corpo. Il Papalagi ci dimostra con il suo esempio che il pensare è una grave malattia, una malattia che diminuisce di molto il valore di un uomo.”.
Adolfo Santoro