Dalla Catalogna a Turku, Allah Akbar spaventa l'EU
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - sabato 19 agosto 2017 ore 13:09
Poche ore di distanza e il grido Allah Akbar echeggia dalla Catalogna alla regione di Turku. Una serie di attentati a catena che se non orchestrati nel dettaglio sono sicuramente sponsorizzati Isis. Persino il web si tinge di nero con frasi farneticanti: “La Spagna è la terra dei nostri avi e noi la riprenderemo con la forza”. Agghiaccianti parole che non piegano gli spagnoli scesi in piazza: “No Tengo Miedo”, “Non ho paura”. Per capire a fondo la natura dell'Isis non è sufficiente fermarsi alla sua ideologia di morte e distruzione. Il terrorismo di matrice jihadista è il risultato degli effetti della crisi internazionale e dei conflitti localistici che imperversano nel Medioriente da anni. L'Isis non è solo una costola “impazzita” di Al Qaeda, è la sua metamorfosi strutturale.
È un salto di qualità rispetto ad una visione che personificava il culto di Bin Laden. È il passaggio da un sistema che ruota intorno ad un sole a quello di una galassia di stelle sparse nello spazio infinito. Per questo anche se i seguaci del Califfato perdono terreno e sono sconfitti sul campo di battaglia mantengono un forte ascendente e ingrossano le fila nei quattro angoli del pianeta. Il regno del terrore muore lentamente tra le dune del deserto in Siria e Iraq ma il sogno resta, e nuove ondate sono pronte ad immolarsi per la causa. Alla vigilia dell'11 settembre 2001 al Qaeda contava su una forza di poche centinaia di unità, oggi lo stato islamico possiede nella penisola araba qualcosa come 40mila miliziani, un'armata imponente. Fanatici provenienti, in maggioranza, dal mondo arabo o reclutati nei paesi occidentali.Tuttavia il numero di forze impiegato nella difesa dei confini del pseudo Califfato, da Mosul a Raqqa, o nella conquista dei villaggi nell'est della Siria è solo la punta di un iceberg.
Una rete ramificata si espande in Afghanistan, nel nord Africa e lungo la fascia Subsahariana, in Asia e nel Caucaso. Con cellule nelle città europee e in quelle statunitensi. Plotoni di uomini o lupi solitari pronti all'azione suicida. Impegnati in una guerra asimmetrica per definizione. Per spiegare l'ordine di grandezza del fenomeno jihadista in Siria ed Iraq è necessario partire dal disfacimento del partito d'ispirazione socialista e panarabo Baath, con la caduta di Saddam Hussein e lo sgretolarsi del regime di Assad. Vendette e odi, ufficiali fedeli ai regimi che cambiano casacca e, armi alla mano, passano con l'Isis. Affiliazioni frutto di scelte politiche legate a logiche tribali, non a rivendicazioni religiose sul diritto e la teologia islamica. E una tipologia di organizzazione mutuata dal franchising commerciale.
L'aspetto fondamentalista è determinante nell'indottrinamento dei foreign fighters. Idealizzando il valore dell'ortodossia come unica strada per la redenzione, in una lotta senza confini agli infedeli “crociati”. Chi nel 2014, all'insorgere dell'Isis con la proclamazione della nascita del Califfato di Al Baghdadi, ha pensato che sarebbe di li a poco imploso, ha commesso un grave errore di sottovalutazione: non ha tenuto conto che in Turchia il sultano Erdogan pur di arginare i curdi sarebbe sceso a patti con i peggiori delinquenti, aprendo di fatto le frontiere. Resta oscuro e ambiguo il ruolo dei servizi segreti, tanto di quelli sauditi quanto della CIA, nella fase embrionale di Daesh.
Invece, è stato trascurato il fatto che nelle prigioni di mezzo mondo una fascia generazionale lasciava la microcriminalità e abbracciava il credo fondamentalista: una sottocultura giovanile dedita allo spaccio dell'hashish che diventa ossessionata dalle cinture esplosive. È mancato anche il blocco alle casse, milionarie, che sostengono economicamente l'organizzazione. Mentre la comunità internazionale dava la caccia al nemico pubblico numero uno, un esercito silente attraversava continenti, montagne e deserti pronto a combattere nel nome di un islam distorto, diffondendo l'idea di un regno dei cieli in terra, portando caos, sangue, terrore e paura ovunque.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi