A che serve l'archeologia?
di Franco Cambi - domenica 18 ottobre 2015 ore 11:46
Il passato è un posto molto pericoloso, con il quale è difficile scherzare. Questo vale sia per il passato più recente, per il quale pare impossibile conoscere la verità (caso Mattei, piazza Fontana, piazza della Loggia, trattative scellerate varie) sia per il passato prossimo (una legione di pessimi giornalisti, sedicenti storici, è all’opera per cercare di dimostrare che fra Salò e la Resistenza non ci fu poi tutta questa differenza) sia per il passato remoto.
I bolognesi, prima di diventare italiani, sono stati etruschi di Tarquinia, galli, romani, longobardi… I veneti del nordest avrebbero avuto origini molto composite, non ultima da Praeneste-Palestrina, nel Lazio, come dimostrano molte iscrizioni latine trovate nelle necropoli di Aquileia. E si potrebbe continuare all’infinito.
Il povero Oetzi (Uomo del Similaun o Uomo venuto dal ghiaccio) è inconsapevolmente pericoloso, per una serie di motivi. Morto di morte violenta (una freccia nella schiena), apparteneva ad un ceppo genetico ormai estinto a livello mondiale ma con molti tratti condivisi con le comunità sarde e còrse. Difficilmente, dunque, potrebbe essere impugnato come testimonianza di una presunta autoctonia delle popolazioni nord-italiche, già molto meticce, evidentemente, 5300 anni fa. Passando a periodi più storici ma ancora molto lontani, forse qualcuno ricorderà delle tensioni seguite all’uscita del film “300”, sulla battaglia delle Termopili. Una produzione americana che descriveva in veste eroica gli Spartiati di Leonida e come debosciati i guerrieri persiani, non poteva non suscitare le ire degli iraniani, che si considerano naturali discendenti dei persiani.
Il passato è studiato da una serie di scienze diverse, ciascuna con la propria grammatica ma in grado di trovare punti di contatto e di condivisione. L’archeologia è una scienza pacifica, dialettica, certamente, ma pacifica almeno quanto è violento il passato che essa studia. La storia della grande guerra è il terreno sul quale, oggi, cento anni dopo quel terribile conflitto, l’archeologia (soprattutto la Conflict Archaeology) sta fornendo ulteriori elementi di valutazione, soprattutto partendo dalla analisi, cauta e responsabile, dei dati materiali (pagina FB “Archeologia della Grande Guerra 1914-1918”).
Scavi archeologici e analisi antropologiche dei resti mortali dei combattenti hanno consentito di ottenere ulteriori e importanti informazioni, come dimostra la tesi di laurea di Roberto Trivelli, discussa presso la Università di Siena poco tempo fa. Si pensava, ad esempio, che il poeta-soldato francese Alain Fournier, catturato dai tedeschi, fosse stato barbaramente fucilato insieme ai soldati che comandava. Questa storia aveva alimentato per un secolo il risentimento francese nei confronti della Germania. Poi venne scoperta la fossa comune in cui Fournier e i suoi erano sepolti e si poterono registrare due fatti. Anzitutto, i corpi non erano stati deposti a caso ma secondo un ordine gerarchico. Inoltre, l’analisi balistica condotta sulle ferite d’arma da fuoco ha permesso di attribuire la morte dei soldati ad un violento scontro a fuoco anziché ad un’esecuzione sommaria come voleva la leggenda. Tutto ciò, oltre a gettare luce sui rituali funerari del contesto bellico, ha permesso l’individuazione di un falso storico e ha condotto ad una più matura distensione dei rapporti tra Francia e Germania riguardo alla Prima Guerra Mondiale.
Nel 2001, vicino ad Arras, in Francia, venne scoperta una fossa comune con 24 corpi di soldati inglesi, di cui 19 allineati uno di fianco all’altro e disposti a braccetto in una sorta di macabra danza. Sulle prime poteva sembrare che i loro uccisori tedeschi li avessero deposti in quel modo quasi a voler schernire i nemici anche dopo la morte. Poi, esaminando gli effetti personali rinvenuti addosso ai resti e tramite indagini incrociate gli archeologi sono riusciti a risalire al reparto di appartenenza (il 10° battaglione del Lincolnshire Regiment). All’epoca l’arruolamento nell’esercito britannico avveniva su scala regionale, a volte anche locale. A conferma di ciò è il fatto che le analisi antropologiche hanno mostrato che 3 dei soldati deposti erano addirittura parenti tra di loro. Evidentemente l’intenzione di chi li seppellì era quella di sottolineare anche dopo la morte il legame fraterno che aveva unito in vita quei poveri ragazzi.
Sì, il passato è indubbiamente violento e alle diverse archeologie spetta il compito di decodificare segni e tracce e spiegare quello che è successo in maniera sobria e tranquilla. Una scienza deve essere tanto più pacifica quanto violenti sono i contenuti dei suoi oggetti di studio. Per questo nelle diverse scienze sono auspicabili i confronti, anche vivaci. Le polemiche non servono, invece. Sono noiose.
Franco Cambi