Baratti. Il giorno dopo l’alluvione
di Franco Cambi - sabato 31 ottobre 2015 ore 20:41
Premesso che non è mia intenzione né fare una disamina delle cause che hanno determinato questo né suggerire soluzioni, per le quali servono competenze molto forti e diversificate, intendo limitarmi ad alcune osservazioni, probabilmente anche scontate.
E’ evidente, sempre di più, che le osservazioni e le prescrizioni di carattere urbanistico scaturite dal percorso partecipativo organizzato dalla Regione Toscana nel 2011, ampiamente riecheggiato dai mezzi di informazione, assumono adesso un particolare rilievo.
E’ tempo di riparlare del valore di questo luogo attraversato da simbolismi così forti nel modo più ampio possibile. E’ tempo, anche, di riportare attorno a un tavolo istituzioni diverse (politiche, amministrative, di gestione, di ricerca) coinvolgendo anche, questa volta, le associazioni di volontariato nazionali e locali. A ognuno spetta il suo compito, ovviamente, ma è solo dal concorso armonico fra competenze diverse che possono derivare soluzioni agli inconvenienti e miglioramenti rispetto agli assetti attuali.
Mi pare che debbano essere recuperati, anche nello spirito, l’Accordo di programma Quadro Stato-Regione che aveva consentito di conseguire brillanti risultati nei settori della tutela, della conservazione, della gestione, e il protocollo d’intesa con cui, nel 2004, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Comune di Piombino, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Regione Toscana rilanciarono le molteplici valenze ambientali e culturali del promontorio di Populonia e del Golfo di Baratti. In virtù di quegli accordi, e per anni, quella esperienza è stata indicata come un modello cui ispirarsi, come una traccia da seguire. Nel promontorio, nel golfo e nella Val di Cornia erano operative le équipe archeologiche e geologiche delle Università di Siena, Venezia, Pisa, Roma Tre, Roma La Sapienza, Milano, Firenze, L’Aquila.
Di quella straordinaria esperienza, al tempo stesso impresa intellettuale, comunità scientifica, condivisione sociale e capillarità culturale fra giovani ricercatori, popolazione locale, scuole, turisti, sopravvive oggi soltanto il gruppo della Università di Milano, guidato da Giorgio Baratti. Soltanto loro ma, per fortuna, ci sono e dobbiamo tutti esser loro grati per questa presenza.
Oggi, fatto fronte all’emergenza, bisogna ripartire con un nuovo progetto, che non potrà, ovviamente, essere clonato sul vecchio ma avere impronta e indirizzi nuovi e originali. Baratti è sempre il luogo non della ricerca pura bensì della domanda di conoscenza che ispira e suscita la ricerca stessa. Questo spirito va recuperato e indirizzato tenendo presente che viviamo in una società completamente diversa rispetto a dieci o quindici anni fa. Le risorse finanziarie che prima c’erano, pur essendo circoscritte, ora sono ancor più ridotte. Soltanto una più sofisticata organizzazione sociale potrà far fronte a queste nuove necessità. Una organizzazione che ammetta al suo interno, in forma cooperativa, anche i mondi delle associazioni di volontariato e culturali, delle scuole, delle imprese, locali e non, dei cittadini.
Va costruito, insomma, un nuovo modello, nel quale vi sia armonia fra conservazione dinamica (non sacralizzazione dei resti ma loro valorizzazione) e uso appropriato del suolo (uso non cementificazione). Deve esservi anche arricchimento di conoscenza del luogo tenendo insieme aspetti ambientali, paesaggi storico-archeologici e moderne economie. Soprattutto, un luogo come Baratti deve essere il luogo nel quale si scrivono sempre nuove storie e sempre più seriamente costruite: storie che, spiegando come e perché un determinato luogo è fatto in un modo invece che in un altro, servono a consolidare l’identità culturale locale nel rispetto delle altre identità culturali; storie che si possano consapevolmente raccontare ai visitatori.
Franco Cambi