Attualità venerdì 23 maggio 2025 ore 15:20
Emergenza cinghiali, "cacciatori esclusi"

L'Ambito Territoriale di Caccia Arcipelago Toscano spiega quale potrebbe essere l'importante ruolo dei cacciatori
ISOLA D'ELBA — "lo scrivente Atc 10 (ambito territoriale di caccia) Arcipelago toscano, ente istituzionale per la gestione faunistico venatoria del territorio fuori del perimetro del Pnat, che ammonta a circa il 44% dell’intero territorio dell’isola d’Elba, denota che come organismo preposto al suddetto fine sia puntualmente escluso da ogni iniziativa programmatica in relazione al noto problema ungulati".
Lo scrive in una nota Atc 10 in merito all'emergenza ungulati all'Elba e ai tavoli in corso.
"Il mondo venatorio che viene costantemente additato come responsabile del problema ha cercato da sempre di dare il proprio contributo (gratuito) al fine di diminuire il numero dei capi presenti sul territorio, - prosegue l'Atc 10 - ma le richieste sono state sempre inascoltate. Vi sono anche norme, recentemente varate, ( leggasi le modifiche alla l. 157 /92,) con i conseguenti provvedimenti regionali, che una volta adottati, consentirebbero l’intervento con squadre organizzate in braccata anche all’interno delle aree protette essendo ben consapevoli, le istituzioni preposte, che il vero “polmone” riproduttivo dell’ungulato cinghiale è il territorio del Pnat, dove il selvatico è meno disturbato e le azioni di controllo e contenimento con altre forme ( leggasi braccate con cacciatori) sono inibite essendo allo stato possibili, come unici strumenti utilizzati per il contenimento della specie, gli intrappolamenti e gli abbattimenti con lo scarso personale della polizia provinciale e con i cacciatori in selezione abilitati dal Pnat che tuttavia nel loro insieme si stanno rilevando insufficienti".
"I numeri degli abbattimenti del Pnat, così come pubblicati parlano da soli. - prosegue l'Atc - Si parla di circa 600 capi di cinghiale abbattuti all’anno, avvalendosi dei mezzi e strumenti su menzionati, anche su appalto a titolo oneroso con ditte esterne private che gravano sul bilancio dello Stato e quindi del cittadino. Le squadre al cinghiale (3) operanti sul territorio libero, hanno abbattuto negli ultimi anni una media di circa 500 cinghiali all’anno nel periodo consentito di caccia, operando tassativamente nel territorio a loro preposto esterno al perimetro del Pnat, districandosi tra decine di limiti e divieti (leggasi distanze dalle abitazioni, da strade di transito, osservanza di norme di sicurezza, confini de parco etc. ) e cacciando solo circa 30 (trenta) giorni all’anno, considerando il periodo usualmente consentito dal calendario venatorio (01.11- 31.01. ) per tre giorni alla settimana".
"E’ evidente, a fronte di questi dati, che la proficuità dell’intervento del mondo venatorio a far si che il problema sia quanto meno contenuto, dovrebbe essere come minimo preso in considerazione, ma nulla di tutto questo. - aggiunge l'Atc - Il mondo venatorio viene purtroppo visto come il problema e non la soluzione. Ci si augura che pertanto le istituzioni preposte si rendano conto della realtà delle cose".
"La domanda sorge spontanea: perchè non ricorrere all’attività di controllo e contenimento da parte dei cacciatori con la forma della braccata in zone “mirate”, soggetti che si offrono e si rendono disponibili gratuitamente in uno stato, per come è stato definito, emergenziale, per una fattiva collaborazione con gli enti preposti? Evidentemente prevale il preconcetto, quantomai fuorviante, che un’area protetta ed il cacciatore con il cane ed il fucile sono due cose antitetiche e incompatibili. Niente di più errato", prosegue l'Atc.
"Eppure nelle “vecchie” gestioni del Pnat (leggasi presidenza Tanelli e successivamente Barbetti in regime di commissariamento), - aggiunge l'Atc - venivano fatte le braccate sotto il controllo del Corpo forestale dello stato, che previa individuazione delle zone critiche e più sensibili alla presenza dell’ungulato, consentivano ingenti prelievi, poi più nulla. L’iniziativa adottata dalla Regione due anni fa or sono, che solamente dietro quasi unanime richiesta dei sindaci, pressati da associazioni e comitati vari, è stata “costretta” a dichiarare l’Elba intera “area non vocata al cinghiale” che è il presupposto normativo per procedere ad una potenziale eradicazione della specie dal territorio (progetto che a nostro parere, quali esperti conoscitori del territorio, valutiamo di difficile se non di impossibile realizzazione oltre che costosissimo senza bisogno di particolari studi di sorta sulla fattibilità come quelli adottati dal Pnat con denaro pubblico), avrebbe avuto il secondo fine di inibire l’attività venatoria della caccia al cinghiale in braccata, scopo che paradossalmente avrebbe provocato l’effetto diametralmente opposto, vale a dire l’ulteriore proliferazione dei cinghiali, alla luce del fatto che gli unici soggetti che fanno contenimento della specie fuori dell’area protetta sono i cacciatori con l’attività venatoria, oltre che la polizia provinciale con i pochi mezzi e uomini di cui dispone".
"Tuttavia la Regione Toscana prevedendo quanto sopra ( lo stop della caccia in braccata avrebbe incrementato il numero dei capi), visto lo stato emergenziale ha giustamente ed opportunamente adottato provvedimenti che hanno autorizzato comunque le braccate ed i risultati si sono visti con le centinaia di capi abbattuti all’anno da parte delle squadre al cinghiale elbane. - aggiunge l'Atc - La realtà delle cose è questa".
"Si invita pertanto ad una riflessione serena e costruttiva indenne da prese di posizione legate a preconcetti al fine sotteso", conclude l'Atc 10.
Se vuoi leggere le notizie principali della Toscana iscriviti alla Newsletter QUInews - ToscanaMedia. Arriva gratis tutti i giorni alle 20:00 direttamente nella tua casella di posta.
Basta cliccare QUI