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Cultura martedì 24 aprile 2018 ore 10:18
Omaggio all'archeologo Raffaello Foresi
Una nota del professor Michelangelo Zecchini ricorda come il grande studioso elbano si fosse cimentato anche con l'archeologia
PORTOFERRAIO — Raffaello Foresi, elbano, classe 1820, dopo aver studiato Lettere all'Università di Pisa si trasferì a Firenze, dove si occupò di letteratura, di musica e di mineralogia. Il suo incontro con la preistoria dell'Isola avvenne a Lacona nel gennaio del 1865. Lo racconta lui stesso con queste parole:
“ …nella mia patria, nell'isola d'Elba, avevo udito parlare di certe pietre che contadini e pastori raccoglievano a quanto a quanto, e reputavano fulmini … A metà di gennaio del presente anno 1865 misi piede in Portoferraio. Mio primo pensiero fu di ridurmi nel Piano di Lacona … ove mio padre ha un' assai vasta e ragguardevole possessione. Chiamai la guardia campestre … dopo cinque minuti mi presentava due frecce, una grandetta e una piccolina. 'Eureka' gridai come Archimede. La scoperta dell'età della pietra all'isola d'Elba era fatta”.
La passione di Foresi crebbe con il passar del tempo e in cinque anni lo portò ad accumulare conoscenze e a recuperare, da un capo all'altro dell'isola, oltre duemila reperti databili fra il paleolitico medio e l'epoca etrusca. Grazie a lui l'archeologia elbana pervenne ad un vero e proprio exploit: i reperti preistorici elbani diventarono oggetto di discussione dei più insigni paletnologi, antropologi e geologi del tempo (Luigi Pigorini, Gaetano Chierici, Carlo Vogt, Igino Cocchi, Louis Simonin, Gabriel De Mortillet) e vennero sottoposti all'attenzione internazionale alla mostra Universale di Parigi del 1867. Foresi svolse le sue ricerche in un arco di tempo (1865-1870) che corrisponde all'età dei primi vagiti delle scienze paletnologiche in Italia. In un contesto dalle fondamenta incerte, e al contempo di grandi slanci, in cui la nuova disciplina scientifica stava tentando di aprirsi la strada, Foresi riuscì a far accettare i risultati del suo intenso lavoro ai responsabili della citata Mostra Universale di Parigi, la maggiore rassegna mondiale di preistoria e protostoria. Va sottolineato che gli scritti di Foresi, aggiornati sui risultati delle più recenti teorie sull'evoluzione dell'uomo, seguivano con intuito i progressi scientifici dell'archeologo e antropologo britannico John Lubbock, autore nel 1865 del volume Prehistoric Times nonchéamico di Darwin. È sulla base degli insegnamenti di Lubbock che Foresi, rispettoso delle opinioni altrui ma libero da asservimenti al pensiero scientifico allora dominante in Italia, attribuì - giustamente - i materiali litici elbani al paleolitico e a “una lunga serie di tempi diversi”, ponendosi così in netto contrasto con Pigorini, il più noto e autorevole fra gli studiosi italiani, che li aveva riferiti “al periodo degli animali domestici”.
La credibilità raggiunta da Foresi in ambito internazionale non gli fu d'aiuto per coronare il suo sogno di veder nascere a Portoferraio un “Museo delle isole dell'Arcipelago toscano”, archeologico/mineralogico, forte degli importanti pezzi da lui collezionati. I suoi tentativi di sensibilizzazione degli amministratori locali andarono a vuoto. Come succede a quasi tutti coloro che con i loro studi precorrono i tempi, le richieste di Foresi furono considerate in loco come il seccante strepitio di un raccoglitore di sassi, cui concedere una parvenza di attenzione unicamente perché aveva alle spalle un'importante famiglia. Ma Foresi, alla fine, fece tutto da solo: nel 1873, infatti, aprì al Ponticello il museo, di sua iniziativa e con i suoi quattrini, ma circa due mesi dopo la sua morte, avvenuta il 12 ottobre 1876, quella splendida realtà espositiva chiuse i battenti. Il figlio Mario, dopo aver tentato invano di donare la collezione al Comune di Portoferraio, finì col venderla all'Università di Firenze.
Michelangelo Zecchini
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