Gentile Sig.ra Marina B
di - sabato 22 luglio 2023 ore 08:00
Gentile Sig.ra Marina B.,
esprimo le mie condoglianze a Lei e a tutta la famiglia B. per il trapasso di Suo padre.
Se però posso esprimere il mio parere di psichiatra, La invito a riflettere su questa lettera.
La Sua esternazione recente al “Giornale” – “Caro direttore, ma la guerra dei trent'anni non doveva finire con Silvio Berlusconi? Dopo di lui, il tema giustizia non doveva tornare nei binari della normalità?” – può essere comprensibile solo all’interno del processo di elaborazione del lutto, che prevede, dopo una “fase immediata di negazione” dell’evento luttuoso, una “fase di rabbia cieca”, durante la quale la rabbia, cattiva consigliera, nasconde le responsabilità e rovescia la colpa sull’altro, i giudici di Firenze – in questo caso -, che stanno solo facendo il loro mestiere.
La sua esternazione è avvenuta nello stile di Suo padre, che, come ogni narcisista, è vissuto mascherando dietro un sorriso una rabbia senza confini: per lei, come per Suo padre, vale il principio calcistico “la miglior difesa è l’attacco”. Per Suo padre la vita era, in ogni ambito, la strutturazione di una “squadra vincente” con la “discesa in campo”, gli “interventi a gamba tesa”, la “campagna acquisti”, la politica di ammorbidimento delle scelte arbitrali a favore dei “grandi club” (che pretendono il diritto di primogenitura), la “melina” in attesa della fine della partita, il “fallo tecnico”, le battute da spogliatoio, il rapporto con gli “Ultras”, ma – soprattutto – il rapporto con la tifoseria.
Il tifoso! Quella parte dissociata del popolo – di tutti i popoli – che sogna la gloria identificandosi con uno dei contendenti in campo: con la squadra degli Orazi o con quella dei Curiazi. Il bello – o il tragico, a seconda dei punti di vista – è che di questa dissociazione il “tifoso” non è consapevole o, se lo è, non ne può fare a meno, perché, come nella dipendenza da una droga, si sente “qualcuno”, sente di partecipare, solo quando prova l’eccitamento della propria maschera. E Suo padre è stato un degno erede dei “benefattori” del calcio, come Mussolini, il generale Videla, il presidente Ceausesescu. Basterebbe che i beoti guarissero dal “tifo”, che anche il cambiamento climatico ne risentirebbe!
E non era calcistico il linguaggio di Marcello Dell’Utri, sodale di Suo padre, quando nel novembre 2002 tenne una lezione ai futuri candidati di Forza Italia sul tema “come farla franca nei processi”: “Non parlare mai, avvalersi sempre della facoltà di non rispondere. Non patteggiare mai, salvo che siate colti in flagranza di reato… Seguire i consigli dell’avvocato solo quando la pensa come voi… Far passare più tempo possibile. Nei casi disperati, cioè quasi sempre, non preoccupatevi dell’anomalia principale dei processi: la durata interminabile. Anzi, la regola è proprio far passare il tempo. Che è galantuomo, alla fine rende giustizia. Se accelerate troppo, non otterrete una sentenza che vi soddisfi. Invece, col tempo, possono succedere tante cose: può essere che muore un pm, muore un giudice, muore un testimone, cambia il clima, cambiano le cose.”?
Il buon Marcello, che mi fa venire sempre in mente la frase del suo omonimo personaggio dell’”Amleto” di William Shakespeare: “C’è del marcio in Danimarca”! La trasposizione di questa frase shakespeariana potrebbe essere “C’è del marcio in (Forza) Italia”, magari come allusione, tra gli altri, al sottosegretario Antonio D’Alì (condannato a sei anni per aver messo "a disposizione le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato" per favorire i boss mafiosi, oltre ad avere un ruolo nel gestire illegalmente appalti di grosse opere pubbliche).
Se continuiamo a ragionare in base alla tragedia “Amleto”, possiamo, gentile Sig.ra, facilmente comprendere che lo “Spettro” del re Amleto non può dissolversi nel nulla finché la giustizia terrena non è arrivata alla Verità. Lo “Spettro” del re defunto compare, infatti, ad Amleto e gli dice:
“Io lo spirito sono di tuo padre, condannato ad errare nella notte per alcun tempo, e il giorno a digiunare nel fuoco, fin che siano arsi e purgati i peccati da me commessi in terra. Se svelare i segreti del mio carcere non mi fosse interdetto, potrei fartene tale descrizione ch’ogni parola d’essa, la più blanda, ti ferirebbe il cuore come un dardo, ti gelerebbe il sangue nelle vene e ti farebbe schizzar via dall’orbite, come stelle impazzite, le pupille, e ti farebbe scompigliar sul capo le ben composte ed annodate ciocche facendoti drizzare ogni capello come aculeo d’un istrice infuriato. Ma il racconto di questo eterno modo non si può fare a orecchi in carne e sangue.”.
Mi consenta, gentile Sig.ra, di dirle che io comprendo! Comprendo che la prima fonte di sofferenza è stata la brama di potere di Suo nonno, Luigi, che avrà visto in tutti gli anni in cui ha lavorato nella banca Rasini le collusioni tra la mafia dei Corleonesi, Licio Gelli e Michele Sindona, che usavano questa banca per riciclare “soldi sporchi”. E, si sa, “chi va al mulino s’infarina”. Comprendo anche che Suo padre avrà voluto proteggere la Sua famiglia da eventuali sequestri di Mafia. Ed, ancora una volta, devo ripeterle “Chi va al mulino s’infarina”, per cui non appaiono strane le intercettazioni fatte in carcere a Totò Riina (che, parlando di Suo padre, diceva: “Dovrebbero metterlo in galera a vita”) o di Giuseppe Graviano (“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia… per questo è stata l’urgenza…). Comprendo anche che il buon Marcello possa essersi “infarinato” anche lui nel tentativo di aiutare Suo padre. Come in tutte le tragedie, ognuno, credendo di agire a fin di bene, ha commesso azioni da “concorso esterno in associazione mafiosa”! Ma, contrariamente a quanto asseriva Niccolò Machiavelli, “il fine non giustifica i mezzi”! Bisogna andare alla radice delle cose per comprendere! E la radice delle cose sta in un nonno avido, Luigi, ed in una donna pia, Rosa, che era indulgente “a prescindere” verso i comportamenti del figlio primogenito, il “figlio d’oro”, l’”unto dal Signore”.
E mi scusi se glielo ricordo: in quella che Lei, nella sua foga rabbiosa, chiama “persecuzione” dei giudici, Suo padre non è stato un modello di Verità (… perché solo la Verità libera!). Si è distinto, invece, nell’occultare la Verità e nell’insabbiare (nello stile della “mafia in senso lato”, della “massoneria deviata”, dei “colletti bianchi” e degli altri “apparati deviati dello Stato”). In quanti processi Suo padre è stato un uomo di poche parole - queste: “Su indicazione dei miei avvocati, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Grazie, grazie a tutti” – tradendo il mandato fiduciario del (pur beota) popolo italiano? E mi scusi ancora se Le ricordo (perché, si sa, la smemoratezza è la conseguenza della dissociazione dell’Io, in cui il popolo italiano eccelle rispetto ad altri popoli) quanto Suo padre disse a Piero Chiambretti: “La mafia non esiste, è un modo d’essere, di pensare.”?
Se Lei, gentile Sig.ra, è così sicura di se stessa e delle “persecuzioni” subite da Suo padre, l’unica via per dirimere tutto è svelare la Verità, è rendersi conto che ogni forma di ricchezza si regge su un abuso e che la ricchezza non dà felicità ma solo ulteriori preoccupazioni. Ne consegue che questa consapevolezza le indica la strada di battersi per trasformare la “damnatio memoriae” in qualcosa di più nobile.
“Come?”, Lei mi chiederà. Attraverso due vie, Le rispondo:
1) accettando alcuni confronti pubblici (magari sulle reti Fininvest… chissà quale sarebbe lo share!) con “voci dissonanti” come quelle di Salvatore Borsellino e di altri familiari di vittime di mafia, di Roberto Scarpinato, di Marco Travaglio, di Michele Santoro etc; questi confronti dovrebbero essere improntati sulla pacatezza e su ragionamenti sui fatti, come quanto è scritto nella sentenza della terza corte d’appello di Palermo (inerente l’accordo, richiesto da B. nel 1974, di una “protezione totale” da parte della Mafia in cambio di un cospicuo indotto di danaro);
2) schierando i Suoi strapotenti mezzi di comunicazione (TV, giornali etc), garantiti da “voci dissonanti”, per stimolare assiduamente il potere a svelare i segreti di Stato (gli omicidi e le stragi contro magistrati, Forze dell’Ordine e gente comune; i traffici di armi e di droga; gli interessi sul gioco d’azzardo; il riciclaggio etc), per tutelare la libertà di informazione senza minacce e manipolazione, per favorire il rispetto della Costituzione, per favorire una riforma della giustizia (in cui questa sia veramente uguale per tutti e libera dall’influenza del potere politico), per favorire una giustizia sociale.
Come vede, gentile Sig.ra, non ho fatto cenno al reato di atti sessuali con minori o allo squallore dei comportamenti sessuali di Suo padre: ritengo che questi aspetti siano degni di un esame psicopatologico e, pertanto, ne tratterò separatamente.
Nel frattempo, gentile Sig.ra, Le auguro di elaborare il Suo lutto in maniera degna, in modo che i fantasmi possano riposare in pace e i suoi discendenti possano riconoscere in Lei la donna che ha avuto il coraggio di rompere l’omertà col passato.
Con rispetto,