Il fattore umano
di Nausica Manzi - martedì 21 settembre 2021 ore 13:22
Numeri statici, ore che si rincorrono, quantità da raggiungere e superare, denaro da contare nell’ossessione del “sempre di più” pronto da essere accumulato, dinamiche matematiche, ma illogiche, fintamente perfette e che invece di sistemare o migliorare, tendono a soffocare.
Tra questi elementi si muovono le aziende e l’intero mondo contemporaneo in generale: fattori necessari ma non costitutivi, apparenza di sicurezza ma non radice di eterna stabilità. Concentrandosi su di essi quindi, ogni ambiente di lavoro, ogni realtà nel suo impegno sociale e nelle sue responsabilità di azione, dimentica il fattore più importante che, nel silenzio, resiste e permane sempre anche se messo in disparte, nel buio, rifiutato perché considerato il più delle volte inutile perché non classificabile, non numerabile, unico ed originario: il fattore umano.
Parlo di “fattore” perché tale parola ha un profondo e dirompente significato su cui si focalizza e lavora un buon percorso filosofico all’interno di contesti lavorativi. Etimologicamente tale termine deriva infatti dal verbo latino facere, fare, produrre, creare, quindi il fattore è chi fa qualcosa, chi agisce per o chi può addirittura influenzare il conseguimento di un risultato e proprio su tale influenza vorrei focalizzare la riflessione. Anche nelle scienze si parla del fattore come un elemento imprescindibile dotato di una propria azione specifica e fondamentale per l’esito di un calcolo, oppure per una previsione o per misurare qualche dimensione: dunque il fattore è l’in più che, con la sua azione, ricorda la radicalità trasformativa della sua presenza.
Unire tale termine all’ aggettivo umano è quindi qualcosa di delicatamente rivoluzionario: l’umano diviene fattore radicale che può trasformare la singola realtà presa in considerazione, influenzandola con la sua presenza e azione silenziosa, positivamente o negativamente, indicando, sussurrando in dettagli soffocati da numeri, quantità, denaro e interessi che hanno perso tutto quel calore di carne umana, vera esistenza nelle sue imprese e bellezze. Ma perché allora tale fattore così fondamentale viene dimenticato, tralasciato o addirittura rimosso perché considerato inutile economicamente, matematicamente o a livello di successo quantitativo?
Il motivo è questo: abbiamo paura della nostra stessa umanità, del nostro essere insieme armonico di carne ed ossa e non macchine, ingranaggi di lacrime e sorrisi e non di ferro. La filosofia in azienda serve a sollevare i volti delle aziende, immersi nel buio di essenza dimenticata, e ad aprirne gli occhi sulla bellezza e sulla luminosità silenziosa ma potente del valore di ogni identità umana, focalizzando obiettivi e strategie d'azione sul fattore, e quindi sul valore umano. La business philosophy è una pratica che richiama i singoli a riconoscersi colonne portanti, parti di una intera comunità composta di altrettante singolarità, uniche ed imprescindibili, e che la vera ricchezza è nella luce che dimenticano di avere e di poter donare. Sia per il manager che per ogni singolo lavoratore, al di là del ruolo, la filosofia in azienda è una pratica trasformativa che serve a recuperare la luce e il valore di ogni “colonna”, fattore umano rivoluzionario.
Il fattore umano riaccende la luce del pensiero e il “regno del possibile” nel bel mezzo dell’impossibile: esso fa riscoprire ad ogni individuo di essere uno strumento di una stessa orchestra e che la vera armonia si crea solo a partire dall’unione di suoni diversi, da voci singolari ed uniche e da contrasti da tornare ad ascoltare attentamente, per scovarne la bellezza inesauribile.
Nausica Manzi
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