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Attualità giovedì 25 aprile 2024 ore 19:30

Un 25 Aprile pieno di emozioni a Portoferraio

Presenti alla cerimonia le autorità e molti cittadini. Apprezzati gli interventi del sindaco Zini, di quello dei ragazzi Galli e il presidente Anpi



PORTOFERRAIO — Quest'anno la Festa della Liberazione a Portoferraio ha assunto un significato più importante del solito in cui è stata sottolineata la necessità di salvaguardare le libertà in ogni sua forma e quindi anche la libertà di pensiero e parola.

Durante le celebrazioni che hanno visto rendere omaggio alla memoria dei caduti per la liberazione dal nazifascismo, sono intervenuti il sindaco di Portoferraio Angelo Zini, il sindaco dei ragazzi Franco Galli e il presidente di Anpi Elba.

Il sindaco Zini ha ricordato i motivi per cui si celebra il 25 Aprile. Qui di seguito il testo del suo discorso:

"Care concittadine e cari concittadini, grazie a tutti voi di essere qui per celebrare, insieme, il 79° anniversario della Liberazione.
Un ringraziamento e un saluto particolare lo vorrei fare al Sindaco dei Ragazzi, da poco eletto e che ha accolto il mio invito alla sua prima uscita pubblica in una ricorrenza così importante e così significativa, e poi alle Autorità civili e militari, a tutte le associazioni presenti, alla nostra Filarmonica.

Oggi, istituzioni e cittadini compiono l’atto che può essere considerato come il più importante appuntamento civile che la nostra Nazione rinnova nel giorno del 25 aprile, da settantanove anni. Quella odierna è la data in cui si riporta alla memoria viva, in ragione di accadimenti storici fondamentali, la liberazione del Paese dalla tirannia e dalla oppressione nazifascista e perciò la liberazione che avrebbe condotto alla libertà, alla democrazia.

Oggi siamo qui non solo per un esercizio di memoria, ma per rendere concretamente omaggio, con i nostri comportamenti, a chi si è battuto per la libertà a costo della propria vita.
Oggi siamo qui a condividere il momento fondativo della nostra Italia, la sua rinascita dopo un periodo buio e oscuro. La luce della democrazia che oggi illumina le nostre vite non deve però mai portarci a dimenticare ciò che è accaduto in quegli anni, costellati dagli orrori e dalle barbarie dei totalitarismi e della soppressione della "libertà” e di ogni forma di giustizia.

La Resistenza è la nostra identità nazionale. Se ci diciamo italiani ci diciamo anche antifascisti, ed è su questi valori che dobbiamo fondare una memoria comune.

Parlare della Resistenza significa parlare di Resistenze al plurale. Perché gli atteggiamenti resistenti degli italiani, nei due lunghi inverni di occupazione nazista del nostro Paese, sono stati molteplici. Alla Resistenza armata, cioè alle formazioni partigiane che combatterono nelle montagne e ai gruppi di azione patriottica presenti nelle città - a cui si deve una pagina fondamentale del riscatto del nostro Paese - si affiancò una Resistenza senz’armi che coinvolse i 650 mila soldati italiani catturati dai tedeschi dopo l’Armistizio che, internati nei lager, decisero in massa di non aderire alla RSI. Non solo, ci fu una Resistenza civile fatta da chi sostenne i partigiani, da chi aiutò gli ebrei. E poi una Resistenza di sacerdoti che rimasero a morire con le loro comunità, e di persone che fornirono informazioni, fra queste, molte donne, che diedero prova di eroismo, svolgendo ruoli vitali, come quello del collegamento, ovvero la raccolta di informazioni, il trasporto di ordini, materiali, armamenti, la segnalazione degli spostamenti e delle manovre delle forze nemiche. C’è dunque un ampio ventaglio di Resistenze, al plurale, che meritano di essere ricordate

Occorre sottolineare il carattere trasversale e interclassista della Resistenza che rappresentò uno spaccato della gioventù italiana. I partigiani venivano da tutte le regioni e rappresentavano tutte le classi sociali. Vi erano studenti universitari e giovani che avevano la terza elementare, c’erano gli immigrati dal Sud, gli operai del Nord, e la classe dirigente. La Resistenza si è così tramutata in identità nazionale. Un esempio di questo è 'Bella ciao', la canzone che ci accompagnerà anche quest’anno a fine della nostra cerimonia. Bella ciao non è una canzone comunista, è la canzone di tutti i resistenti, racconta di un partigiano che non ha etichette, racconta della richiesta di un partigiano di portarti via dalla dittatura, verso una libertà che allora non c’era. Oggi Bella ciao è una canzone che identifica la libertà e la libertà è un valore fondante della democrazia.

È bene ribadirlo perché esiste una parte del nostro Paese che è rimasta estranea e quasi ostile verso la Resistenza. Ed è veramente incredibile che, ancora oggi, a 79 anni da quel 25 aprile, il dibattito pubblico in Italia debba ancora specificare la realtà storica di ciò che avvenne in quegli anni, la natura autoritaria e violenta del regime nazifascista, della totale soppressione delle libertà personali, dei diritti civili. Vogliamo vivere in un paese in cui tutte le cariche dello Stato, a partire dalle più alte, usino lo stesso linguaggio, condividano gli stessi valori e dimostrino che l’Italia ha una memoria comune. L’antifascismo è un valore di tutti, e le alte cariche dello Stato hanno la responsabilità di fare in modo che sia così.

Ai valori della Resistenza e della Costituzione dobbiamo ancorarci per affrontare il particolare momento storico che stiamo vivendo, dopo una pandemia, con il dolore di guerre che stanno facendo sanguinare il cuore dell’Europa, dall’Ucraina a Gaza e Israele, e che si aggiungono ai numerosi altri conflitti presenti in ogni parte del mondo. In tale contesto, oggi più che mai, è necessario ribadire l’importanza dei valori della libertà e dell'uguaglianza, della democrazia e dell’indipendenza e riappropriarci di quei principi fondamentali richiamati dalla nostra Costituzione che oggi devono declinarsi innanzitutto nella centralità della dignità della persona, nella giustizia sociale, nel rispetto dell’ambiente quale parte integrante del nostro vivere quotidiano, nel ripudio della guerra, il ripudio di ogni guerra scolpito nell’articolo 11 della Costituzione.

Carissime ragazze e ragazzi se vogliamo dare realmente un senso alla Liberazione e festeggiarla nel suo profondo significato, ricordiamoci di non essere mai indifferenti, di non voltarci mai dall'altra parte, di essere sempre partigiani, anche oggi, scegliendo sempre di stare dalla parte giusta, quella della democrazia e della libertà, così come fecero le donne e gli uomini della Resistenza, combattendo ovunque la barbarie del nazismo e del fascismo.

Come disse il grande giurista Piero Calamandrei agli studenti milanesi nel 1955: 'Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione'.

ll tempo che viviamo ci ha insegnato che le libertà costituzionali con le quali siamo abituati a convivere non devono essere mai date per assodate, si tratta di valori che dobbiamo difendere ogni giorno, custodire e trasmettere alle nuove generazioni, coinvolgendo il mondo della scuola.

Il 25 Aprile, che ricordiamo ogni anno, è importante per non dare mai per scontati i diritti di cui godiamo oggi, così faticosamente conquistati e difesi anche con il sangue. Li dobbiamo vivere, difendere ed esercitare insieme ai doveri che non devono rimanere solo sulla carta ma devono essere vissuti e interpretati da ogni singolo cittadino ogni giorno. Questo è il nostro omaggio più vero e concreto a tutti coloro che ricordiamo qui oggi e che si sono battuti per la Libertà.
Questo ci ha insegnato e ci insegna il 25 aprile. E non ci stancheremo mai di ricordarlo.
Viva la Resistenza, Viva la Liberazione, Viva la Costituzione, Viva la Pace, ovunque e senza confini".

Il sindaco Zini, durante il suo intervento, ha inoltre letto il monologo dello scrittore Antonio Scurati sul 25 Aprile, testo censurato dalla Rai per le sue critiche al Governo Meloni (leggi qui l'articolo).

Il sindaco dei ragazzi, Franco Galli, alla sua prima uscita pubblica, ha voluto esprimere con le sue parole il significato del 25 Aprile. Parole molto apprezzate ed applaudite dal un buon numero di persone presenti sul molo Massimo

"Buongiorno a tutti, per chi non mi conoscesse ancora, sono Franco Galli, neoeletto Sindaco dei Ragazzi della città di Portoferraio. - ha detto Galli - Oggi, come tutti sappiamo, siamo qui riuniti per la commemorazione del 25 Aprile, Festa della Liberazione d’Italia dall’occupazione nazifascista del nostro paese. La libertà per noi è una realtà scontata ma, purtroppo, non è sempre stato così e ancora oggi molti paesi vivono privati dei propri diritti e delle libertà che, invece, noi fortunatamente possediamo. Oggi vogliamo ricordare chi ci ha permesso di ottenerla, sacrificando la propria vita per un futuro migliore. Giovani ragazze e ragazzi che si sono battuti contro il regime ventennale fascista e l’invasione nazista, che hanno lottato contro le ingiustizie e i soprusi che da troppi anni vivevano quotidianamente.Se ci pensiamo bene 79 anni fa il comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia ordinò l’insurrezione di tutte le truppe combattenti e ben presto Milano, ormai in sciopero, fu liberata dai partigiani arrivati dalle zone circostanti. Mi preme sottolineare il lavoro svolto da questo comitato perché fra di loro e, lo dico con orgoglio, vi era un giovane appassionato e coraggioso partigiano Sandro Pertini, che divenne poi, il Presidente della Repubblica più amato dagli italiani. È proprio a lui che è intitolato il nostro istituto comprensivo dove hanno studiato e continuano a studiare tanti giovani portoferraiesi. Intitolazione che ci inorgoglisce e che ci deve spronare a comprendere e a far valere i diritti di tutti proprio sul modello di questo grande uomo e di tutti quelli che si sono battuti per la libertà nel nostro paese, con l’obiettivo di sconfiggere ingiustizie e violenze. Purtroppo, le vicende recenti di guerre e brutalità che viviamo e osserviamo oggigiorno in paesi anche vicino a noi, ci fanno comprendere ancora di più l’importanza dei diritti umani e di tutte le libertà di cui, mi preme sottolineare, ogni donna e uomo dovrebbe godere.Parlo ai ragazzi presenti e tutti quelli che sono qui per commemorare questa festa di tutti, per incentivare e smuovere le loro e le vostre coscienze cercando di far capire e comprendere ma soprattutto ricordare che la libertà, intesa in tutte le sue forme, non esiste solo il 25 Aprile ma ogni giorno e va difesa sempre portando avanti i nostri ideali di pace ed umanità che devono abbracciare e pervadere i nostri pensieri.A nome mio e di tutti i miei consiglieri qui presenti, vi auguriamo un buon 25 Aprile…W l’Italia, w la libertà".

Anche il presidente di Anpi Isola d'Elba, Marco Ambra, ha evidenziato l'importanza del 25 Aprile. Qui di seguito il.suo discorso: "Care concittadine e cari concittadini,celebrare l'anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo quest'anno, il settentanovesimo per essere precisi, ha un significato particolare. Nell'aprile di cento anni fa, infatti, gli elettori italiani si recavano alle urne per scegliere i propri rappresentanti in Parlamento per l'ultima volta prima della fine della dittatura.

Il primo governo Mussolini, allora in carica dopo la farsesca e tragica marcia su Roma e con il sostegno della monarchia, si era dimesso per permettere al suo padrone assoluto di chiamare nuovamente gli italiani alle urne, questa volta con una legge elettorale marcatamente maggioritaria che avrebbe regalato un ampio premio di maggioranza alla lista che avesse raggiunto il 25% dei voti. Si trattava di una calcolata mossa con cui Mussolini avrebbe blindato la propria posizione alla guida del Paese, una mossa sostenuta dalle squadracce fasciste, libere di imperversare su sedi, giornali, assemblee dei partiti di opposizione o non allineati all'uomo forte.

Fu in questo clima di soprusi e violenze che si andò a votare e nonostante ciò le opposizioni, pur penalizzate dalla legge elettorale, ottennero numerosi consensi, entrando nel Parlamento aggiogato a Mussolini. Alla prima seduta delle Camere si levò dagli scranni di Montecitorio la vocel del segretario del Partito Socialista Unitario, Giacomo Matteotti il quale con lucida coerenza denunciava l'irregolarità di quelle farsesche elezioni: «Nessuno si è trovato libero, - diceva Matteotti - perché ciascun cittadino sapeva a priori che se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso». Era il 30 maggio 1924. La pervicace opera di denuncia dei brogli elettorali sarebbe costata a Matteotti, undici giorni più tardi, la vita. Il 10 giugno un'automobile partita dal cortile del Viminale, occupata da un gruppo di squadristi fascisti, lo prelevava a forza da pochi metri dalla sua abitazione romana, uccidendolo probabilmente a pugni e calci. Mentre le settimane passavano e di Matteotti non si avevano notizie cresceva lo sgomento anche in quell'opinione pubblica moderata che aveva simpatizzato per il fascismo e per Mussolini. Il 16 agosto l'imperatore, infine, era nudo perché il cadavere di Matteotti riemergeva dalla Macchia della Quartarella indicando a tutti l'esatta natura del fascismo: violenza politica nel nome del capo.In pochi però ebbero la lucidità di comprendere che quella violenza politica sarebbe stata solo la premessa maggiore di una conclusione necessaria, il bellicismo stragista, l'esaltazione della guerra, su cui Mussolini avrebbe fondato gli obiettivi del regime. Dalla Libia all'Etiopia, dalla Spagna repubblicana all'Albania, dalla Grecia alla Serbia, il fascismo avrebbe ripetuto lo schema di quella violenza politica con cui aveva preteso di regolare i conti con Matteotti. 

E badate bene che gli italiani furono complici e spettatori, in gran parte passivi, di quella violenza. Furono la fame, le bombe, gli effetti della guerra voluta da Mussolini a svegliarli dal proprio ventennale torpore. Fu un risveglio traumatico ma necessario. Durante l'estate di ottant'anni fa una generazione successiva a quella di Matteotti, una generazione educata per servire da manodopera alla guerra fascista, ne raccolse inaspettatamente le idee, la coerenza e l'ostinazione per contribuire alla Liberazione dell'Italia dall'occupazione militare nazista e dall'ultimo feroce tentativo di Mussolini di dare al fascismo una seconda vita: la Repubblica sociale italiana. Dobbiamo a quegli uomini e a quelle donne se l'Italia, a differenza di altri paesi sconfitti come il Giappone e la Germania, poté darsi una Costituzione repubblicana e democratica in autonomia dalla volontà degli Alleati. Dobbiamo a loro se libertà personale, di associazione, di opinione e di scelta confessionale, se uguaglianza giuridica e sostanziale, se ripudio della guerra e pluralismo culturale e linguistico, se ricerca scientifica e tutela dei lavoratori entrarono nell'alfabeto della nostra convivenza civile diventando i princìpi ispiratori delle leggi ordinarie di uno Stato nuovo, inclusivo del contributo delle donne, rispettoso del diritto internazionale, protettore di minoranze e marginalità, distruttore di ostacoli al progresso civile e materiale della società.Eppure, a cento anni dall'omicidio di Matteotti, a ottanta dall'inizio della Resistenza, venti di guerra e pulsioni autoritarie ritornano a ricordarci come le conquiste della nostra democrazia possano essere messe in discussione. 

La pulsione autoritaria a servire il capo, il culto di una visione gerarchica dei rapporti sociali, l'opzione acritica per la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie sono la premessa perché quella violenza politica, messa a tacere il 25 aprile del 1945, ritorni ad essere un metodo praticato, tollerato, sostenuto. Quando si chiudono gli spazi al pluralismo delle idee, quando si preferisce attaccare gli uomini e le donne anziché confutarne le opinioni, quando si risponde alla libera manifestazione del pensiero con le manganellate, quando i luoghi di detenzione diventano aree di sospensione dei diritti umani, come i casi della censura ad Antonio Scurati, della querela a Luciano Canfora, del pestaggio degli studenti di Pisa e delle torture al carcere Beccaria di Milano dimostrano, allora, si mette in discussione il senso della scelta fatta il 2 giugno del 1946. Non ultimo, nel nostro futuro prossimo, saremo chiamati ad esprimerci con un referendum sul rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. 

La pulsione del capo autoritario, sganciato dal controllo di altri poteri, ritorna, come nella primavera di cento anni fa. È per questo che, oggi più che mai, ricordare questa data, il 25 aprile, significa ridare vita alla lezione di Matteotti e di chi, come il partigiano volontario ferajese Giordano Piacentini scelse nel fiore degli anni di non concedere più nulla al fascismo, pagandone il dazio il 7 aprile 1945 nel campo di concentramento di Mauthausen. Viva la Repubblica antifascista, viva la Resistenza, viva la Costituzione!"

Durante le celebrazioni alla presenza delle autorità e dei rappresentanti delle forze dell'ordine e delle associazioni dei reduci e combattenti sono inoltre state deposte delle corone di alloro al Monumento dei Caduti in piazza della Repubblica e alla stele dedicata a Ilario Zambelli, trucidato alle Fosse Ardeatine.


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