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Attualità lunedì 09 settembre 2013 ore 10:25

La bonifica delle zone degradate o "resilienza". Il punto di vista di Cecilia Pacini



ISOLA D'ELBA - "Resilienza", onestamente non sapevo cosa significa, non l'avevo nemmeno mai sentita dire questa parola. Eppure, da quando ho letto la definizione riportata in un recente articolo di MariaStella Giulianetti, non riesco a dimenticarla. In questi ultimi tempi invece di "resilienza" si sente spesso parlare di "bonificare zone altamente degradate". Alcune "bonifiche" sono già avvenute, altre sono in atto, altre sono state approvate, altre verranno, ma hanno avuto un alto costo, per aver causato profondi cambiamenti. Che differenza c'e' tra "bonifica" e "resilienza"? soprattutto in termini pratici applicati alla nostra isola? "L’enciclopedia Treccani definisce così il termine Resilienza. “In ecologia è la velocità in cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stato sottoposto a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato; le situazioni possono essere causate sia da eventi naturali sia da attività antropiche.” Per fare un esempio pratico sul nostro territorio, si parla di resilienza di un bosco bruciato riferito alla capacità di rigenerarsi e crescere spontaneamente. Viene da sé quindi dedurre che sostenibilità e resilienza sono strettamente connesse tra di loro e che la politica deve in primis tenere conto ed essere condizionata da questi due fondamentali fattori nella gestione del territorio e di chi ci vive." Provo a pensare quali sono le zone "perturbate", o, più semplicemente, degradate. Prima di tutto ci sono vari livelli di degrado, ma il punto di partenza mi sembra la responsabilità di una larghissima parte di elbani. Certo che la responsabilità delle istituzioni e' in prima linea, ma e' da pilati lavarsene le mani e continuare a dare la colpa agli altri se viviamo in un'isola che si lancia con generosità ed entusiasmo su tutti i fronti, ogni giorno con iniziative incredibilmente ambiziose e di valore, sportive, minerarie, naturalistiche, artistiche, culturali e poi al tempo stesso non riesce a gestire tutto il cambiamento che ne deriva. Il primo livello di degrado più eclatante e' la sporcizia. Un esempio e' la strada che porta al Capannone, e dal Capannone giù a Scaglieri e alla Biodola (escludo Forno che meriterebbe un encomio generale). Ora che i turisti sono più radi, le macchine parcheggiate ai lati della strada sono meno numerose, lo spettacolo che rimane e' come un cazzotto nello stomaco. Si comincia dallo spiazzo al Capannone, con una delle viste più mozzafiato di tutta l'isola: la piazzola e la prima curva sono disastrate, in stato di semi-discarica, con cespugli disordinati, asfalto sbertucciato ai lati della provinciale, che continua così fino in fondo. Tremo al pensiero che tra poco arriveranno i solerti operai per il taglio dei cespugli ai lati del manto stradale, ovunque nell'isola, e sminuzzeranno cespugli cartacce e rifiuti in un tutt'uno indescrivibile: potrebbero gli operai essere preceduti da un lavoro di volontariato o magari a pagamento, retribuito da un consorzio degli operatori e residenti di una certa area, senza aspettare che si arrivi a situazioni del genere? Viviamo tutti in una bolla? Chi e' che non sente il bisogno impellente di pulire spontaneamente davanti alla propria casa, o strada, se pur comunale o provinciale? perché solo in pochi lo fanno? La Loppa a Portoferraio, per un paio di km e' in condizioni simili, costantemente. La domanda e' questa, e riprendo la domanda di Franco Cambi, del prestigioso Gruppo Aithale, gruppo che "intende favorire la ripresa della ricerca ambientale, storica e archeologica all'isola d'Elba e nell'Arcipelago Toscano", in un suo recente articolo, che chiede: perché queste zone sono così degradate? Aggiungo anche: perché poi non esiste niente di intermedio tra il degrado da bonificare, e la trasformazione totale del bene o della zona in questione? Da quanti anni queste zone sono "degradate"? Quando abbiamo cominciato a trascurare o a non accorgerci che stavamo arrivando a un punto di non ritorno per salvare il salvabile, moltiplicando l'effetto "degrado", o trascurando il bene, come per esempio il "parcheggio" a San Giovanni, mio terzo esempio, ora quasi una discarica polverosa a cielo aperto? Inoltre, siamo sicuri di aver interrotto la proliferazione dell'effetto degrado? Il degrado e' una condizione che nasce per una ragione, e che, consolidandosi, aggiunge ragioni ed effetti negativi non solo su quel bene, ma sulla collettività, e' insostenibile, causa disagio. Io chiedo, con semplicità, a tutti, me compresa: di chi e' la colpa se viviamo in questo modo? Nessuno, nemmeno noi, vuole la conservazione del degrado che c'è ora, ovviamente. La zona va ripensata e rifatta ma con criteri moderni, non coprendo tutto con il cemento, così come, presumibilmente, hanno fatto alla Gattaia; o come hanno fatto al porto con i recenti lavori, presi quale esempio di quello che verra', senza ombra, ma con la mini-pista ciclabile celeste; o con i rendering mostrati alle Ghiaie: sembra quasi un ossimoro, mostrare i futuri cubi di cemento all'interno di un giardino storico e meraviglioso (anche se bistrattato) come quello delle Ghiaie. Cosmopoli, il porto commerciale, San Giovanni, Le Grotte: e' qui che abitiamo, e' qui che si e' creata la nostra fama, e' qui che risiede la nostra bellezza, e quindi il discorso deve essere unico, omogeneo, armonico. Nell'ottobre 2000 a Firenze e' stata adottata la Convenzione Europea per il Paesaggio che riconosce che il paesaggio e' "un elemento importante nella qualità della vita delle popolazioni, nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana"... "rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, e che la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo." Ricordiamocelo, sproniamoci. Parliamone tra noi, chiediamo aiuto, magari, anche alle associazioni di volontariato, ma non stiamo in casa a criticare, chiusi nel nostro borbottio sommesso, rancoroso, ma inefficace.

Cecilia Pacini
Italia Nostra Sezione isola d'Elba e Giglio

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