Cultura

Capo Castello, il biasimo di Italia Nostra

L'associazione culturale interviene sul caso dei lavori edilizi in prossimità della villa romana di Capo Castello: "Ennesima cementificazione"

Il caso dei lavori edilizi sul sito della villa romana di Capo Castello a Cavo non cessa di suscitare perplessità, quando non aperto biasimo, fra le associazioni che si occupano di tutela ambientale e culturale. Dopo la denuncia di Legambiente dei giorni scorsi, è oggi la sezione locale di Italia Nostra a intervenire sul caso.

"Dopo un primo passo compiuto lo scorso 23 novembre ad opera del suo presidente onorario presso il sindaco di Rio Marina avvertiamo la necessità di tornare sulla villa romana di Capo Castello di Cavo, nel cui perimetro si sta registrando la sopraelevazione di un fabbricato, posto sul culmine del sito, che viene a raccontare – quando non se ne sentiva certo il bisogno – l’ennesima storia italiana di un’emergenza archeologica irragionevolmente punita.

Tale iniziativa edilizia è l’ultima di una serie, lunga, ma divenuta intensa a partire dagli anni sessanta e settanta del secolo scorso, che ha mescolato agli ambienti di una domus tra le più interessanti dell’alto Tirreno una geografia di architetture deprecabili non già perché si sarebbero desiderate diverse da come le vediamo, ma perché semplicemente non avrebbe dovuto esserci. Non è necessario, infatti, che una nuova costruzione ne spodesti, distruggendola, una antica, perché la si debba rifiutare; basta che le si alzi dappresso, costituendo con la sua sola presenza il disconoscimento di una produzione intellettuale non limitata a un oggetto, ma estesa al suo contorno".

Quello di Capo Castello rappresenta infatti un sito archeologico di primario interesse non solo per la storia elbana ma per quello di tutta la regione tirrenica dato che quella posizione fungeva anche da punto di avvistamento dei traffici commerciali nell'intero arcipelago.

"Peraltro - continuano da Italia Nostra - la cementificazione ha accompagnato il più delle volte l’occultamento o la cancellazione delle strutture preesistenti che, studiate da Vincenzo Mellini nell’ottocento, rilevate e riportate alla luce in alcuni segmenti da saggi di scavo eseguiti, tra il 1970 e il 1972 da Gianfranco Vanagolli e intorno al 1995 da Marco Firmati, oggi appaiono realisticamente suscettibili di una possibilità di lettura solo riguardo a un’area estremamente ristretta.

Su di essa, tuttavia, si è ritenuto di poter fondare di recente un meritorio progetto di salvaguardia e valorizzazione, capace di restituire finalmente alla comunità un bene che le appartiene attraverso un virtuoso gioco di sinergie, rappresentate dal Comune di Rio Marina, dalla Sovrintendenza Archeologica per la Toscana e da un Comitato cittadino.

Non finisce di stupire, pertanto, mentre bisogna pur sottolineare che da molti mesi si attende di conoscere i termini di un piano di intervento ad hoc, anche finanziario, annunciato dalla stessa Sovrintendenza, senza il quale il Comune e il Comitato sono condannati all’inazione, come si sia potuto procedere da parte degli organi responsabili nel solco di un costume di insensibilità o di distrazione nei confronti dei beni paesaggistici e culturali che si riteneva ormai relegato ad un irreversibile ieri".