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Attualità lunedì 28 maggio 2018 ore 09:13

Dialogo immaginario con "la Tore"

La Torre Appianea di Marciana Marina e il suo stato attuale

Lo storico e archeologo Michelangelo Zecchini e il suo "divertissement" agrodolce sulla storia del simbolo di Marciana Marina



MARCIANA MARINA — Di questi tempi, ancora lontani dal caos agostano che tutto acuisce e tutto nasconde, il passeggere che all’imbrunire rivolge un saluto alla Torre (“come stai? come va il nuovo anno?”) può sentire la bava di maestrale trasformarsi in parole e pensieri.

“È il momento dei ricordi”, sussurra la Torre. “Ho 570 anni. Quando, alla metà del XV secolo, fu posata l’ultima pietra e fu piazzato l’ultimo cannone, gli Appiani fecero una bella festa alla quale parteciparono il popolo dell’Elba e la nobiltà di mezza Italia. Ero una neonata ammirata e felice. Sereni furono anche i tempi della giovinezza, quando facevo la guardia al traffico di ferro prodotto nelle vallate marcianesi. Arrivarono presto gli anni bui delle incursioni piratesche. Intorno alla metà del Cinquecento le navi da guerra del feroce Dragut approdarono proprio sotto di me. Mi apprestai a difendermi. Ero giovane e forte. Ma le schiere di Dragut non mi guardarono nemmeno: avevano come obiettivo il paese di Marciana, che razziarono e devastarono. Dopo i due raid di Dragut gli Appiani consolidarono le mie mura e aumentarono la mia potenza di fuoco. In ogni periodo fui sempre tenuta in grande considerazione dalle amministrazioni, che stanziarono fondi sufficienti.

Ma lasciamo da parte il passato remoto e arriviamo agli alti e bassi del passato prossimo. Durante l’ultima guerra, e subito dopo, conobbi l’abbandono e la solitudine. Gli unici miei svaghi erano i colloqui via etere con le mie consorelle. Alludo alla torre di Rio Marina, che è mia coetanea; alla torre di S. Giovanni, che è più vecchia di me di circa 300 anni; alla torre di Marina di Campo che, essendo più giovane di oltre un secolo, era ed è la più vezzeggiata. Nel 1957 fui baciata dalla fortuna: Ambretta e Raffaello Brignetti, due giovani belli e intelligenti - lei stilista affermata, lui scrittore di successo - si innamorarono di me, mi acquistarono dallo Stato al quale di me non importava nulla, riadattarono a dimora per quanto possibile i miei spazi ristretti. Appena potevano, partivano da Roma per stare con me. Per la prima volta mi sentii amata per la mia veste monumentale, per la mia storia, per l’orizzonte senza fine e per i tramonti infuocati che si godevano dalla mia ‘terrazza’, per la tranquillità e l’ispirazione che le mie possenti mura riuscivano a trasmettere. È stato il periodo più bello.

Il presente, invece, è fonte di frustrazione e di smarrimento: il degrado che avanza a passi da gigante e la noncuranza che regna sovrana fanno temere un futuro non roseo. Nel giugno scorso ho creduto che si fosse aperto uno spiraglio di speranza: chissà quante volte - mi sono detta - ha parlato di me ai suoi alunni l’insegnante di storia alla quale il sindaco ha affidato la gestione dei beni culturali. Sicuramente non mi lascerà in queste condizioni. Ma è trascorso quasi un anno senza che la medesima abbia mosso un mignolo. Poi, il 28 dicembre 2017, un fulmine ha sconquassato la mia ‘terrazza’, ha aperto un varco per l’acqua piovana, ha mandato in briciole la porta d’ingresso. ‘È stato un evento sfortunato’, si sono affrettati a dichiarare i responsabili. E, con toni enfatici (‘noi nuovi amministratori abbiamo a cuore la nostra Torre e continueremo ad occuparci di Lei con impegno e passione’), hanno lasciato intendere che si sarebbero opposti alla sfortuna con un tempestivo intervento di restauro. Da allora sono passati cinque mesi, la stagione turistica è iniziata, ma dell’annunciata amorevolezza non si è vista l’ombra. Niente. Anzi, peggio di niente: hanno sostituito la porta principale in modo rabberciato con quattro tavole incrociate. E su per le antiche scale è nato un bosco. Provo vergogna. Non mi sono mai sentita così umiliata”.

“Auguri affettuosi, cara Torre”, sospira il passeggere. “Voglia il cielo che questo sottile vento di mare porti le tue speranze e le tue aspettative a qualcuno che, dotato di giusta sensibilità, dimostri con i fatti quanto tu, simbolo e storia fondamentale del paese, sia importante non solo per Marciana Marina”.

Michelangelo Zecchini


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